Velluto, di Raffaella Silvestri
Velluto, di Raffaella Silvestri
#5 Blue
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Blue Velvet a Capodanno
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Ci sono certi momenti topici – Ferragosto, Capodanno – in cui bisognerebbe cercare di non trovarsi da soli; in sprezzo delle consuetudini (che hanno sempre quantomeno una loro logica), quest’anno ho fatto in modo di trovarmi sola in entrambe le circostanze. Ferragosto l’ho passato in una piscina comunale – ma non ho resistito neanche venti vasche, perché l’aria era nervosa e anche l’acqua era calda e torbida, diversa da com’era stata il giorno prima e come sarebbe tornata il 16 agosto – e Capodanno l’ho passato al cinema.

Di tutti i cinema di Milano – che hanno giustamente lamentato la crisi pandemica – soltanto uno ha avuto l’idea di accogliere queste povere anime sperse, gli orfani di Capodanno, queste famiglie unipersonali (8,5 milioni, un terzo delle famiglie italiane) che tra un test rapido e l’altro erano rimaste senza un cenone a cui andare; solo uno ha avuto l’idea di fare una proiezione a cavallo della mezzanotte. Nell’asettico Anteo, per dire, che dovrebbe essere la casa del cinema a Milano, tutti i film finivano verso le dieci e mezza, e tanti saluti. Andate a mangiare il cotechino altrove.

Quell’istituzione impareggiabile che è il Beltrade, via Oxilia Milano, nella cosiddetta Nolo –  forse è proprio il cinema che ha dato vita a Nolo, visto che qui attorno un tempo non c’era niente, solo un bar che faceva ancora l’aperitivo a buffet – ha colto nell’aria questo disperato bisogno di alcuni di noi di evitare il Capodanno, e si è inventato una maratona: film dalle 10.30 del mattino del 31 dicembre alle 00.10 di notte del 1 Gennaio. Sarebbe stato bellissimo vederli tutti, o anche solo 3, ma li avevo tutti già visti, e comunque di giorno c’era aperta la Cozzi, quindi alla fine sono andata solo allo spettacolo delle 21.40: Blue Velvet, David Lynch, 1986, con Isabella Rossellini e una giovanissima Laura Dern (recentemente l’abbiamo vista in Storia di un Matrimonio, finanziato da Netflix e con l’ubiquo Adam Driver).

Anche Blue Velvet l’avevo già visto: è un film che conosco bene perché si incontra facilmente sia studiando cinema che studiando scrittura, e io me lo sono ritrovato in entrambi i casi. Però non l’avevo mai visto al cinema e soprattutto non l’avevo visto oggi, padrona di un non sempre comodo female gaze, ovvero quella consapevolezza di essere donna che si acquisisce studiando il femminismo e con il progredire della giustizia sociale e della parità di genere. Del concetto di male gaze ha scritto per la prima volta proprio una critica cinematografica, Laura Mulvey, negli anni ’70, ma io ne sono venuta a conoscenza solo nel 2016, durante una mostra della fotografa Vanessa Beecroft a un certo Photo Vogue Festival (non ho idea se ne abbiano mai fatti altri), una mostra bellissima nelle “stanze dell’Appartamento del Principe”, un’area di Palazzo Reale che non è aperta spesso e non ho mai più visto aperta. Vanessa Beecroft lavora con polaroid alla ricerca dell’identità femminile, è italiana ma ovviamente lavora a Los Angeles, e quella è una delle mostre più interessanti e dirompenti che abbia visto in quella sede (una sede non certo famosa per essere groundbreaking, per dire: una delle ultime esposizioni che ha allestito si chiamava “Le signore dell’arte” – riprendendo una delle formule standard del sessismo moderno).

Il male gaze, che adesso si usa citare tantissimo, è il principio per cui la visione di un film è sempre mediata da uno sguardo maschile con cui lo spettatore si immedesima e dal cui punto di vista trae piacere. E le donne spettatrici devono necessariamente adeguarsi a questo punto di vista per godere dell’opera cinematografica, assumendo loro stesse questo punto di vista oggettificante.

In altre parole: difficile che mi goda È stata la mano di Dio di Sorrentino se non assumo lo sguardo di un maschio medio, che ha passato un’adolescenza da ragazzo medio, che ha un immaginario da maschio medio e non ha mai visto altro oltre la sua medietà mascolina, sessualizzando il disagio esistenziale della zia bona e sublimando qualsiasi istanza umana della madre e degli altri personaggi femminili.

Alcuni, questo processo, lo chiamano contestualizzare.

Dunque contestualizzando Blue Velvet – una cosa che posso fare perché è un film del 1986, mentre “contestualizzare” il film di Sorrentino che è del 2021 significherebbe dargli il permesso di vivere in un’altra epoca, un’epoca in cui la misoginia è normalizzata e celebrata, o peggio trascinare la nostra epoca nella sua, arretrata; c’è poi il fatto che Blue Velvet è un capolavoro, la Mano di Dio no, non proprio un dettaglio, ma teniamo buono il principio temporale – dicevo contestualizzando Blue Velvet, ho scoperto nuove cose su questo film che lo rendono meritevole di essere visto ancora.

La prima ragione per procurarvi subito Blue Velvet è che è un film facile, per questo si studia: è fortemente simbolico in ogni elemento – guardate il cielo perfettamente azzurro di Lumberton, la cittadina immaginaria in cui è ambientato, opporsi nettamente al buio della terra, alle formiche, ai vermi, tutto nel giro dei primi tre minuti e nello stesso piano sequenza, giusto per mettere in chiaro subito di che stiamo parlando. E di che stiamo parlando? Ma dell’eterna lotta del male contro il bene, naturalmente, della luce contro il buio, anzi del buio che si insinua nella luce – guardate Laura Dern sempre colpita da una luce da eroina del film classico hollywoodiano (Citizen Kane, Casablanca, per intenderci, un’epoca che wikipedia in italiano chiama “cinema narrativo classico” ma che anche alla Statale di Milano chiamano Classical Hollywood Cinema). Guardate l’eroe e protagonista scoprire l’oscurità – e il male – dentro di sé, nel momento in cui entra nell’orbita del velluto blu, una Isabella Rossellini che è portale del male. Il personaggio di Rossellini non ha una vera capacità d’azione, così come non ce l’ha quello di Dern, eppure entrambe le donne sono cariche di significati, di senso – come si direbbe di un oggetto, eppure non è proprio così. Più che altro sono vestali, divinità – se il cinema di Lynch è affascinato dal soprannaturale, dallo strano e a volte morboso, dalla freakiness, nelle donne trova le guardiane della soglia di questi mondi. Dorothy Vallens – Rossellini – è guardiana di un mondo perturbante e complesso, contraddittorio; qui gli impulsi erotici del protagonista sono riflessi come in uno specchio rotto e vengono restituiti segmentati e contaminati, tanto che la frase ricorrente del film è it’s a strange world out there (un mondo di cui il protagonista vuole far parte, ma appena mette piede là fuori non si riconosce più). Non si può stare rintanati dentro, al riparo da quel mondo, bisogna attraversarlo per poter scegliere la luce. La stessa vestale della luce, Sandy Williams – Dern – figlia del poliziotto e razionale, “no bullshit” tanto quanto Dorothy è passiva e languida, ospita in sé un po’ di quell’oscurità di cui è pieno il mondo, così come Dorothy ospita in sé il germe della luce.

Insomma, una storia di formazione classica (ci sarebbe un capitolo solo da scrivere sul dolce e confuso protagonista), con un po’ di sadomaso e tutto un mondo che è divertente decifrare. Quando si sono spente le luci e ha attaccato la melodia del film – Blue Velvet cantata da Isabella Rossellini – e la cinepresa è scesa dal cielo alla staccionata bianca, dipinta a fresco, e alle rose rosse, prima di scendere nel terreno (quel terriccio che in inglese si chiama dirt, come lo sporco), io lì, quel 31 Dicembre 2021, ho sentito questo grande amore per il cinema e ho pensato che finché avevamo la possibilità di provare quel tipo di amore, andava ancora bene. Che l’amore per queste cose avrebbe conservato la nostra umanità. Capite bene che quando chiudono i cinema, non è una forma di intrattenimento a cui vabbè possiamo anche rinunciare. Capite bene che si richiudono i cinema mi si tappa la vena.

Riferimenti:

-       Le dolenti note: Blue Velvet (Velluto Blu) è disponibile su Prime Video con abbonamento extra a Infinity (mai fatto) e come tutto ciò che è su Prime Video è solo in italiano doppiato, senza versione originale.

-       Vanessa Beecroft: https://en.wikipedia.org/wiki/Vanessa_Beecroft; https://milano.repubblica.it/cronaca/2016/11/26/foto/milano_vanessa_beecroft-152639443/1/

-       Male Gaze: https://en.wikipedia.org/wiki/Male_gaze

-       Non ho ancora trovato una monografia soddisfacente e maneggevole su David Lynch, ma se volete ha scritto un libro lui: Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, l’ha vita. Il saggiatore (non l’ho letto)

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