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Ciao Raffaella,

ebbi modo di incontrarti nella giostra della cultura milanese, mi colpì la tua disponibilità e l’entusiasmo nell’entrare in libreria ed abbracciare l’io sconosciuto come se fossimo vecchi amici, ricordo e ne porto sempre un pezzo nel cuore.

Ora seguo i tuoi scritti, i tuoi video, semplicemente in apparizioni social, come ben sai la libreria ha chiuso, io mi son chiuso al mondo e via discorrendo, ma oggi ho letto il tuo intervento sulla perdita ed hai, ohiohi, riaperto una vecchia ferita, un vecchio ricordo rimasto a lungo dormiente. I cinema, le vie buie e piene di vita dopo mezzanotte alla fine dell’ultimo spettacolo, gli amici, i primi baci nascosti tra le poltrone, il gridar forte che tanto intorno gli uffici eran vuoti e la città ci apparteneva. Se ricordi io son di quella generazione che faceva mattina sui navigli ancor prima di diventar “i navigli”, si ascoltavano i “vecchi” suonare al pianoforte bevendo bicchieri di rosso, dopo l’ultima proiezione si tornava nella bettola a lasciarsi andare in commenti sul film, sulla vita, sulla società, insomma la semplicità dello stare insieme in una gioventù che sognava un mondo diverso.

Credo che tutte le generazioni portino un qualcosa di nuovo nonostante l’aver trovato chiuse quelle strade che pensavamo di aver aperto, col tempo ci siamo rattrappiti in una falsità di benessere, abbiamo smesso di andare al cinema (la tv ci bastava), abbiamo smesso di chiacchierare tra di noi, solo uno sguardo veloce e poi “come stai e la famiglia?”, io che son solo da allora sempre il numero dispari da evitare… Tornando ai cinema, tornando a chiusure che tolgono sempre più spazio alla cultura, oltre ai già citati ricordiamo le librerie, i piccoli luoghi di incontro in cui con poche lire si beveva un bicchiere e si tirava notte, fan male e altro ne faranno, è inevitabile per come è strutturata la società in questo tempo.

Si chiuderà e si troverà un altro spazio su cui vivere, d’altra parte ricordo sempre le parole di mio padre quando chiedevo perché si eran coperti i vari corsi d’acqua, che Milano sarebbe stata più bella più vivibile e lui con semplicità mi ricordava che a quei tempi bisognava scegliere se restare una città o diventare una capitale industriale, si è scelta la seconda ma….

Ora è tanto che non faccio un giro in centro e non so se c’è ancora vicino alla Statale quel localino dove gettavan giù i panzerotti dal buco del soffitto, quanti ricordi.

Poi Santa Marta, le viette buie in cui oggi si ha paura attraversare, come dicevi tu il buio e la luce, forse allora c’era talmente tanto buio che avevamo meno paura o forse l’altro non era così diverso come ora, si aveva dentro noi un qualcosa che sapeva di vino di fumo di voglia.

Mi ricordo che prima di chiudere molte sale son passate al porno, cinema di periferia ambiti da depravati e persone da poco prezzo, poi son venute le multisale… non son riuscito a farmele piacere, troppo caos, troppa gente che fa rumore, io che al cinema cercavo l’intimità col film, in un silenzio quasi parrocchiale…

Si lo so il mio tempo non può far testo, io con la mia esperienza nel sud milanese che per andare al cinema si perdeva più tempo in tram, ma forse in quei giorni il Giancarlo era felice… che dire, semplicemente un abbraccio, ciao.

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Unico appunto iniziale, su una cosa per la quale ci eravamo già trovate d'accordo, è che il Vekkio in questione è in realtà una donna. Il che rende la cosa ancora più atroce.

"Tutta questa scelta, tutta questa libertà, per scegliere il calduccio del trash conservatore. L’Arlecchino ha chiuso nel silenzio. Un articoletto, sul Corriere Milano. È la zona dello shopping, dice. Restano i cinema di prossimità (quali? Perché da casa mia nonché per tutta la zona di Milano sud, il cinema più prossimo sarebbe ancora in Duomo)." quanto è vero.

Non sono mai stata a Milano dunque mi è piaciuto molto questo excursus sulla storia dei cinema. Nelle mie zone invece so che in centro ne avevamo due di cinema storici, poi purtroppo hanno chiuso entrambi (uno diversi anni prima che nascessi, l'altro a causa del terremoto del 2009). Per fortuna hanno recentemente deciso di riaprirlo, chissà con quale rimodernizzazione interna. Ricordo che vi andai varie volte da piccola, poi crescendo arrivarono anche altri due cinema più in periferia ovvero due multisale di piccole catene indipendenti. Alla fine anche una delle due chiuse, almeno cinque anni fa. Due anni fa hanno riaperto una monosala praticamente di fronte, ma non credo funzioni granché. Ad oggi, ci è rimasto un solo multisala in periferia con una programmazione pessima (per i miei gusti) e prettamente commerciale.

Interessante il discorso che hai fatto sulla cultura dell'audiovisivo, a prescindere da un eventuale percorso universitario. Pensa invece che, proprio in ambito accademico, si fa un discorso simile per il teatro e il balletto che (perlomeno in Sapienza) vengono studiati nettamente meno rispetto alla teoria cinematografica che invece richiama più iscritti.

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Non ho mai creduto che le nuove generazioni siano certamente migliori di quelle precedenti.

Il futuro non è naturalmente luminoso.

Anzi.

I ragazzi di oggi sono più svegli ed attenti sui temi sociali: i diritti delle minoranze, la questione ambientale, le parità di genere. Battaglie bellissime, difficili, ma affascinanti che in giovane età meritano di essere combattute e vissute in prima finale chiedendo tutto e subito, senza fare sconti a nessuno.

Ma gli stessi giovani super combattivi sociali diventano mesti fatalisti quando si parla di lavoro. Hanno ormai accettato che si deve lavorare a cottimo, senza uno straccio di diritto, senza potere di acquisto, senza un salario che rappresenti la propria dignità di lavoratori. Si campa di lavoretti, si pedala per ore a consegnare cibo precotto per pochi euro, magari al ricco di turno che forse ti darà pochi spicci di mancia o, molto più spesso, un'occhiataccia di compassione.

Milano è stata la locomotiva culturale di questo scempio.

Da quando, negli anni '80, si è parlato di "Milano da bere" è iniziato il processo di "Gentrification" che ha trasformato la città medaglia d'oro della resistenza in un luogo in cui l'unico obbiettivo è la soddisfazione personale, il fare soldi, i danè sopra ogni cosa. Se tutto diventa economia anche la cultura risulta un bene da privatizzare prima, per poi spremerla e buttarla poi. per farci più profitto possibile.

Con la cultura non si mangia. Diceva quel ministro che faticava a far tornare i conti mentre il suo capo guardava sotto le sottane delle giovani donzelle in cerca di soldi facili.

Molti l'hanno preso in parola.

I Cinema sono la punta dell'iceberg di quanto l'ignoranza sia diventata il vanto da esibire. Non ci si vergogna più di non sapere, di non volersi informare, di non volere più vedere cosa ci sia aldilà del proprio quartiere. Si vive nel complotto perenne e si abbocca a qualsiasi cialtrone che ti propone una soluzione facile che dà sempre la colpa a qualcuno e mai a te stesso.

Da quanto lo Smeraldo ha fatto posto a EatItaly per me Milano ha venduto definitivamente la sua anima sociale diventando un centro commerciale perenne in cui hanno diritto di asilo solo i turisti con il portafoglio gonfio.

Altro che Green Pass.

A Milano mancano le panchine in cui sedersi perchè per molti "portano al bivacco" mentre per i vari sindaci i cittadini sono diventati dei consumatori che devono pagare tutto, persino cinque minuti di siesta.

Se una città diventa solo commercio e luminarie non ha nessun futuro, perderà anno dopo anno i residenti perdendo così la propria energia vitale, le proprie idee e i valori di inclusione e innovazione che l'avevano da sempre contraddistinta.

Sta già accadendo.

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