Velluto, di Raffaella Silvestri
Velluto, di Raffaella Silvestri
#11 Velluto e Vampiri
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#11 Velluto e Vampiri

Il 2022 e i miei bassi bassi istinti

Comincio a sospettare che ci sia un malinteso; che voi, che tutti abbiano consumi culturali più alti dei miei – consulto con un certo panico la lista di quello che ho letto e guardato nel 2022 e vedo che sì, mi salva giusto il cinema (sollievo). Il cinema inteso come luogo, perché la maggior parte delle cose che vedo al cinema mai le guarderei a casa – per esempio non avrei visto Vampyr, film del 1932 mezzo muto, mezzo tedesco e interamente allucinato di Carl Theodor Dreyer, a sorpresa proposto dall’Anteo a gennaio. Al cinema l’ho visto, senza neanche il conforto di un bubble tea, buttato nel cestino all’ingresso, ancora bollente, perché era ancora il periodo in cui nelle sale non si potevano consumare bevande (un periodo assurdo, proseguito a pandemia finita da millenni, che ha definitivamente affossato i nostri cinema – al colpo di grazia ci hanno pensato i film brutti di questo autunno).

A Vampyr ho poi affiancato l’intera saga di Twilight. Se volete cominciare anche voi questa follia della compilazione, la cronologia di Netflix è un buon posto per iniziare, e qui ci sono le istruzioni. Ricordo di aver pianto: del resto nel 2010 proprio sull’onda di Twilight mandai una proposta di dottorato alla Royal Holloway sulla figura del vampiro nella letteratura. Non ho poi fatto quel dottorato, ma quest’anno ho rivisto Intervista col Vampiro e ho provato a guardare The Vampire Diaries, all’interno di un percorso di rewatch di serie iconiche dei tempi della mia adolescenza e prima età adulta (Sex & The City, Friends, Gilmore Girls, The O.C., Dawson’s Creek – quest’ultima abbandonata, a tutto c’è un limite). Sono cose che in realtà non avevo mai visto, ai tempi ero troppo impegnata a leggere i-grandi-classici (menomale, perché si possono davvero affrontare i grandi classici dopo i 25 anni? Al momento lo dubito, la realtà preme così tanto; e se poi si hanno 30-40 anni nel 2022, la realtà preme ancora di più).

Ho appena letto l’ultima rubrica di Daria Bignardi su Vanity, dice che a 18 anni sei davvero te stesso, ma non lo sai, poi ti perdi nella vita, poi ti ritrovi e capisci che quello eri tu; il trentenne affannato, non eri tu. È una cosa che ho sempre sospettato, che non si potesse parlare di nient’altro davvero che della nostra adolescenza, della nostra crescita. Come molti, ho scritto il mio primo romanzo su due adolescenti di cui una ero io e l’altro pure, e mi sembrava molto serio, più delle cose che ho provato a scrivere dopo, documentate e informate di coscienza sociale. Ma poi l’adolescenza l’ho persa di vista, la mia si è allontanata nel tempo, quella degli altri non l’ho incrociata; sono così diventata un’adulta, anche se con grande ritardo (con grande ritardo, del resto, ero diventata adolescente). Quando quest’anno mi hanno suggerito di guardare Prisma, gli adolescenti erano ormai per me creature impenetrabili, spaventose, ma anche di scarso interesse. Quindi di primo acchito ho detto che palle. Poi l’ho guardato e ci ho trovato dentro quella cosa che credevo non esistesse più, quella vulnerabilità di cui non si parla quando ti dicono che i ragazzi di oggi sono così svegli, così avanti e così cool (forse, ma sono anche come eravamo noi, without a clue e un po’ patetici, o forse patetici siamo più noi Millennial sempre pronti a scendere a compromessi?).

Sul lungo volo per Singapore ho visto Vanilla Sky, come parte di un percorso tematico hippy che includeva Matrix e The Power of Now, a dire che la vita è un’illusione, un velo di Maya.

Viaggiando per l’Asia ho visto 4 stagioni di Virgin River, la storia di un’infermiera e di un barista che si amano, ma non possono, poi possono. L’ho visto soprattutto durante un ritiro spirituale: tipo che mi svegliavo alle 6, facevo yoga, meditavo per mille ore, e nei ritagli di tempo guardavo Virgin River dal telefono. Si capisce che non potrei durare in una setta. Eppure un po’ mi attirano, giro sempre attorno agli ashram come una zanzara, un po’ ci sto anche dentro, ma me ne vado: per questo forse ho ascoltato mille podcast relativi a sette e manipolazioni, che non sto qui a ripercorrere, anche perché nessuno è davvero bello, vogliono tutti semplificare, smascherare, fare in modo che nessuno ci caschi, farci riconoscere i pattern, il lovebombing, il gaslighting, la dipendenza. Ho l’impressione che servano soprattutto ai giusti per sentirsi ancora più giusti, per avere delle certezze, cioè: “in una setta, almeno, io non ci finirei mai”. Che mi sembra una magra certezza. Voglio dire, non so se sono più auspicabili questi tempi di etichettamento industriale (invece non tutti gli ashram sono sette, non tutti gli stronzi sono narcisisti) o gli anni Settanta in cui si sperimentavano le cose (le droghe, le nuove spiritualità, senza idealizzare, solo come siamo bacchettoni ora).

Dopo l’estate, avendo perso le rassegne post-veneziane, ho perso il ritmo con le uscite al cinema; questo mi ha lasciato particolarmente disorientata, insieme ai cinema di Roma, tra cui non riesco a orientarmi, che non mi piacciono. Ho provato: Caravaggio, Nuovo Olimpia, Barberini, Cinema Intrastevere, Lux. Qui il problema è semmai che si mangia troppo: americani ruminano pop corn e patatine, anche mentre vedono i cannibali di Guadagnino – i cannibali accidenti, i cannibali! E loro imperterriti, a sgranocchiare patatine. Mi lamento delle cose piccole perché mi sembra che quelle grandi siano fuori controllo: avevo appena instradato una mia vita da adulta, i miei percorsi geografici e relazionali, in modo da non doverci più pensare, poter pensare ad altro, ed eccomi sradicata e ripiantata a Roma: ma chi si abitua a Roma a 38 anni? Nessuno.

Uno dei miei appuntamenti preferiti dell’anno (tra i prodotti “bassi”, se così vogliamo dire, con buona pace di Spinazzola) è Emily in Paris: avete presente quella sensazione di arrivare in un posto e che quel posto vi accoglie, inizia un’avventura meravigliosa, conoscete gente senza sforzo, una situazione tira l’altra, è tutto una scoperta? È questo che racconta Emily in Paris, quella cosa lì che è più facile da ragazzi ma è comunque possibile. Ma certo che niente è vero, ne sono la prova io che ho fatto il lavoro di Emily per tanti anni a Milano e non sono mai andata a quei party cool vestita a quel modo, però conosco quell’abbrivio che può prendere la vita. L’ultima volta che mi è capitato è stato a Bali nel 2019, dove mi sono fermata ben più del previsto, ho conosciuto delle persone e poi una specie di giro, mi sono stabilita, ho visto un modo di vivere e per un po’ ci sono stata dentro, perché era eccitante e facile, e perché per me era nuovo. Per me non c’è niente di più prezioso che riuscire a stare dentro alle cose, interamente, ingenuamente. E forse Bali è così famosa e magica non per Mangia Prega Ama, ma perché accoglie e incanta, e questa è la sensazione che Mangia Prega Ama ha imbottigliato e commercializzato, con tutti gli effetti che sempre derivano dal commercio.

Magari per i miei americani ruminanti anche Roma è così: stupenda e accogliente. Ne ho incontrata una che aveva noleggiato uno scooter senza mai averne guidato uno prima: come fosse un videogioco, un’isola greca, un ambiente protetto, e non invece una delle città col peggior traffico del mondo (in particolare la sesta, la prima parrebbe Bogotà, nella classifica che prende in considerazione anche l'impatto in termini di costi pro capite causato dai ritardi, e la velocità media per spostamenti all'interno dei quartieri centrali).

Insomma. I luoghi sono tutto, come sempre, anche riflessi nelle cose che ho letto, visto, ascoltato. Essendo tutto, sono molto complessi: non vorrei dare l’impressione di odiare Roma con la purezza con cui ho sempre odiato Torino, tutte le volte in cui ci ho vissuto (tre!). Roma non la odio per niente, solo non ne sono incantata come molti che la visitano e quasi tutti quelli che ci vivono. Senza veli, da sobri dico, è una città che fa molto male, è come guardare in faccia la rovina. Non le rovine, dico LA rovina, non quella già avvenuta, ma quella che sta avvenendo e senza possibilità di ritorno sicuramente avverrà; è come guardare la Verità. Su cosa? Sul nostro paese, sulla nostra parte di mondo. A Milano viviamo nell’illusione che ce la faremo, che siamo simili a “loro” (la Francia, ma pure la Spagna ormai è aspirazionale confronto all’Italia). A Roma proprio vedi che no. Forget it. Ti devi solo fare grandi pere di: e però, hai visto il cielo, il sole, il caldo, la bellezza.

Be’, ci sono droghe peggiori. Come ama ricordarmi un mio amico che vive a Stoccolma, potrei essere a Manchester, o a Helsinki. Infatti. Bella Helsinki (anche Manchester non è male), ma non ci vivrei.

Riferimenti

Di Prisma e altre serie ho scritto sulla Review di Ottobre che si può comprare (anche la copia singola in digitale senza abbonamento) qui

Di Milano, dove sono nata e cresciuta, ho scritto su Nomas che si può comprare qui e dal vivo qui o in altre librerie

Di ritiri spirituali e del mio viaggio ho scritto in parte sulla mia rubrica su Elle, i cui pezzi sono raccolti online qui

Di podcast ho raccontato nel dettaglio in un video su instagram, qui

Le istruzioni per accedere alla cronologia di visione su Netflix sono qui

Il pezzo di Daria Bignardi citato è qui

La classifica delle città più trafficate è qui

Sulla teoria di critica letteraria di Vittorio Spinazzola, c’è un bell’abstract  qui di un paper di Elisa Gambaro, del dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici dell’Università degli Studi di Milano, che poi sarebbe il mio (primo) dipartimento quindi quanti ricordi.

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