#10 - Amici miei
Alla fine di questo saggio breve trovate la lista di cose che ho visto, ascoltato, fatto questo mese.
Non so se vi è mai capitato di arrivare a sette, anche otto ore al giorno di utilizzo del telefono; a me sì, e ho smesso di pensare di essere l’unica. Il fatto che stiamo tutti male però non mi fa stare meglio, e quando ancora pensavo di poter tirare il freno a mano al disastro di questo novembre, un mese che già al sette stava correndo verso lo schianto, ho preso una decisione. Ho cancellato la app di Instagram dal telefono. L’ho tenuta sul computer e sull’ipad – perché sono matura ora: non credo più nei metodi forti.
Sono andata qualche giorno a Milano, e qualcuno mi ha detto: “senza instagram ti do una settimana al massimo” (mai dichiarare agli altri i propri buoni propositi). In realtà siamo al 25 e non ci penso proprio a rimetterlo: i social non sono nemmeno più una droga. Non devo lottare per uscirne, semmai devo lottare per andarci dentro, qualche volta, perché se smetto del tutto di andare dentro a Instagram mi prende un certo vago senso di non esistere per niente, di non avere cioè un riscontro della mia esistenza.
Già a Milano la mia vecchia psicologa diceva: lei ha una rete amicale molto sottile. Cioè lei è sola come un cane. Soprattutto per una che è nata qua: dov’erano i miei amici del liceo Berchet, dell’università, chiedeva. Boh. All’università a Milano, in quelle classi di centinaia di persone sedute per terra, io ho smesso presto di andarci. Andavo in biblioteca – puzzavano tutte, alla fine andavo in Sormani che è una biblioteca comunale, e con l’università non ha niente a che fare. Ci andavo a volte col mio amico del liceo, che studiava storia e ora vive in Inghilterra. Gli impiegati della biblioteca li chiamavamo I Folli, perché erano tirannici e incongruenti. Ci andavo con una mia collega di lettere, con cui non avevo niente in comune, e che comunque poi è andata a vivere in Inghilterra (anche lei). Dopo due anni me ne sono andata anch’io, ho cominciato questa specie di esistenza nomade in cui dico che amo solo Milano e poi non ci sto mai. Milano era sempre provvisoria, forse per questo non mi sono fatta molti amici. Quando sono tornata definitivamente, dopo Cambridge, ho cominciato a lavorare e mi sono fatta dei colleghi-amici, ma alla fine io a lavorare in ufficio ho resistito pochi anni, e me ne sono andata. Ho provato a frequentarli un po’ dopo, ma ero una hippie che faceva una scuola di scrittura a quel punto, avevo poco in comune con loro che iniziavano con entusiasmo una carriera vera. Alla scuola di scrittura però, mi odiavano tutti perché mi sentivo superiore. Un’impressione al 100% accurata: quei bamboccioni ventenni, le loro Dr. Martens consumate, il loro non aver mai avuto un lavoro vero, le loro velleità artistiche, i loro pranzi al microonde. Mi sembrava di essere retrocessa alla Statale, ma peggio, una Statale privata piena di aspiranti scrittori. Non è come quelle che ti immagini in America, la scuola di scrittura in Italia, è una cosa più statica, più fancazzista, ricoperta dalla polvere di Torino e dalla mentalità da baronia universitaria. Un insegnante misogino ti insegna come scrivere senza aggettivi e senza subordinate, e come massimo stimolo intellettuale vai a vedere dei film orrendi al film festival locale. Magari ora le cose sono diverse. Io non mi sono iscritta al secondo anno.
Tornata a Milano avevo pubblicato un libro, ma non è che quella sia un’attività che promuove la socialità: una volta sono uscita a bere un caffè con uno scrittore coetaneo, per fare amicizia, lui ha provato a limonarmi alla fermata del tram. Poi ho scoperto che era un seriale: provava a limonare tutte, così, a secco. Niente di male, ma che cazzo. Prima che mi facessi un’amica nella cosiddetta sfera culturale, una che almeno stesse provando a fare quello che stavo provando a fare io, sono passati anni, avevo pubblicato il mio secondo libro ed eravamo entrambe ospiti da Marzullo. Da Marzullo sono notoriamente tutti bonari, positivi, tranne un famoso critico che era già abbastanza famoso e stempiato e che mi disse tu Milano non la sai proprio raccontare, non sai niente di Milano.
Tornando agli amici, dopo quella prima amica ho fatto lenti progressi: gli intellettuali mi fanno paura, alle feste non conosco mai nessuno, e comunque ho mantenuto un lavoro freelance esterno a questo mondo per anni. Sono stata con un piede da una parte e uno dall’altra, non ho scritto molto, cioè ho scritto due cose che non sono state pubblicate.
Poi un anno ho vissuto al mare, in un paese in provincia di Genova. Mi sono fatta degli amici lì, ma poi me ne sono andata, e credo di essere colpevole di fare turismo amicale: quando sono lì li cerco, ma poi non mantengo i contatti, non abbastanza. Penso spesso ai miei amici di lì, ma credo che a loro non interessino i messaggi, conta la presenza.
Adesso mi trovo a Roma. Secondo me non ci starò a lungo, però avevo detto così anche del mio monolocale milanese provvisorio, in cui poi ho passato cinque anni. A ogni modo per il momento sono qui. È tutto lento, ci si muove come mosche nel miele, le nostre piccole Smart nel traffico, ognuno alla fine sta nel suo quartiere, ti invitano in posti che sono a 45 minuti di macchina, disdicono e io tiro un sospiro di sollievo. Questa zona è piena di studi di pilates. Un personal trainer mi guarda mentre spingo il reformer con i piedi. Dubito che diventeremo amici.
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Cose che ho visto questo mese:
Serie TV
Bad Sisters – Apple TV.
5 sorelle devono uccidere uno stronzo, che purtroppo rimane vivo per tutti e dieci gli episodi. Mi piace molto la figlia di Bono (Eve Hewson, una nepo-baby che dice “I don’t get handed money, I have to work”), più qui, con i suoi maglioni colorati, che in quel Behind her eyes, quella miniserie Netflix strampalata sulle proiezioni astrali.
Dubai Bling – Netflix
Gente mega mega ricca e senza cultura spende soldi e litiga a Dubai.
Elite prima stagione - Netflix
Ho un debole per il trash spagnolo, ma finisce troppo male e alle serie chiedo solo consolazione
Film
The Menu
Good luck to you, Leo Grande (in italiano: Il piacere è tutto mio)
Triangle of sadness
Amanda
Ninja Baby
La notte del 12
Cose che ho ascoltato:
Fra i libri sul minimalismo che ascolto sempre in gran quantità vi segnalo il meno spirituale, il più pratico, ma anche il più geniale: Decluttering at the speed of life, Dana K. White, Storytel
Cose che ho fatto:
Vi ricordate il proposito di censire tutti i miei vestiti? L’ho fatto, ho trovato una app: Whering. Ho 89 elementi incluse le scarpe.
Ho provato Pilates in 2 studi e yoga in uno. Vago tra le attività sportive di Roma Nord.
Ho comprato un mucchio di cose per il Black Friday, che è un po’ in contraddizione col minimalismo, ma forse no: dovrei davvero scartare i miei unici jeans comprati nel 2016.