L’estate è il momento in cui mi vengono le Grandi Idee che Non Realizzerò: rendere questa pubblicazione più frequente, più ricca (forse uno spazio in cui ospitare interventi di altri autori? Ma come pagarli, tbd). Fare un bookclub virtuale, come fossi Florence + the Machine, con un libro mensile da leggere e un incontro per parlarne (più che la parte di parlarne in realtà mi interessa la parte di disciplina, una data entro la quale leggere un libro: durante il Covid ho partecipato a un gruppo di lettura femminista e adoravo dover leggere 15 pagine al giorno di qualche saggio pesantissimo, che poi finivano a essere 50 pagine al giorno per gli ultimi 5 giorni prima della data). Colgo l’occasione per ringraziare le 6 persone che hanno fatto l’abbonamento a pagamento, anche se mi hanno messo davanti ai limiti del mio rapporto col denaro (forse li ringrazio proprio per questo? tbd). Appena ho attivato la possibilità di pagare, una persona (che non conosco) si è iscritta, e io altrettanto immediatamente ho pensato: oddio, adesso devo farlo davvero. In realtà ho pensato qualcosa di più complicato tipo, oddio, e mo’ che glie dico. E’ un pensiero che non ho quando scrivo le cose per i giornali, al contrario, trovo giusto che mi paghino e accetto a fatica che i giornali oggi non possono o non sono obbligati a pagare più di quanto paghino. E’ proprio il concetto di pagamento diretto senza mediatori culturali che mi mette in difficoltà, perché è pericolosamente vicino al mondo dei social, di Patreon, e di pietà, ma anche al mondo in cui sono costretta a fare il marketing di me stessa e a chiedermi: cosa vuole il pubblico? Cosa può interessare?
In un panorama “normale” (o forse novecentesco) tra domanda e offerta culturale ci sono i mediatori (le case editrici, i giornali, in alcuni paesi anche i fondi statali). Chi produce idee e prodotti culturali (in questo caso testi) deve preoccuparsi di proporli a un interlocutore che decide se vanno bene o no in base al progetto che ha in mente. E’ elitario? Maybe. E’ difficile arrivare a quegli interlocutori? Più o meno, a seconda della trasparenza degli ingranaggi, a seconda cioè di quanto sono chiari i passaggi; per esempio se sei una scrittrice in lingua anglosassone, sai che passare da Granta (rivista letteraria) è un modo abbastanza sicuro di arrivare a un editore, quindi devi capire come arrivare lì, e così spezzetti l’obiettivo in piccole tranche sempre più digeribili. A questo servono queste entità apparentemente elitarie (riviste culturali, posti capaci di dare un certo “prestigio” ai nomi degli autori): a spezzettare il cammino ma anche a renderlo più chiaro. Qui, non si capisce un cazzo. Nel senso che mentre crescevo e scrivevo non c’erano realtà intermedie (per non mandare delle cose di botto a Mondadori) a cui arrivare che fossero riconosciute al di dà di ogni ragionevole dubbio. Non abbiamo il New Yorker, per dire. Quando ero al liceo una volta sono andata a vedere le riviste letterarie che esistevano, sono andata in Sormani (che le ha tutte, in una stanza polverosa ma diamo a Cesare quel che è di Cesare: le ha, sono accessibili a tutti, sono pure al piano terra, andateci): l’unica che mi ricordo è Poesia (o forse La Poesia: non il mio pane, evidentemente), poi c’era Nuovi Argomenti, su cui in effetti mentre ero all’università hanno pubblicato molti di quelli che poi sono diventati grandi nomi della letteratura italiana oggi. Però io boh, classico caso di non c’ero e se c’ero dormivo: non penso di averla mai letta, se non per qualche esame (uno dei mi professori di Lettere ne era curatore, per dire che sarà stata bella ma non era proprio “larga”, più una cosa di nicchia che credo già allora non pubblicasse più in cartaceo, e le cose, senza un cartaceo almeno simbolico, si sfilacciano, si perdono). Se devo anche essere proprio sincera sapendo che solo voi fidati amici leggerete queste righe, questa Nuovi Argomenti mi è sempre sembrata una cosa vecchia polverosa e patriarcale, lontanissima da me, a cui io mai avrei potuto accedere e che perciò non ho mai neanche letto. Parlo della young Raffaella all’università, ma se vi dovessi dire la verità vera, non l’ho mai letta a tutt’oggi. Tra i nomi di quelli che ci sono passati vedo una scrittrice che oggi conosciamo (una su moltissimi scrittori), e la pubblicazione è oggi diretta (tra gli altri) da Dacia Maraini, ma ai tempi - vado indietro nel tempo nella pagina “storia della rivista” - erano solo maschi, maschi ai tempi giovani che adesso esistono ancora e stanno nelle redazioni o case editrici o ovunque stanno i maschi a esercitare uno sguardo comunque quasi sempre non vario, cieco rispetto alle altre identità e storie - di genere, sessuali, di esperienze e sguardi.
Per questo, oggi che esistono realtà come Review, diretta da Annalena Benini - non da Annalena Benini fra maschi, Annalena Benini semmai fra altre femmine - non si può non sentire uno scarto di novità, di agio; io personalmente mi sento come se non dovessi chiedere scusa a starci; non devo sempre spiegare per eccesso le mie idee, come mi capita con altri interlocutori, è semplice, ci si capisce. Naturalmente su Review scrivono anche i maschi, con il loro sguardo da maschio, dico che non c’è solo quella cosa lì, come unica visione di intellettualità. C’è una varietà di punti di vista, per questo ogni mese vi ammorbo su Instagram continuando a dire “compratelo”: mi sembra importante che venda tante copie, che questa mediazione fra chi scrive e chi legge si faccia più forte per il bene di entrambe le parti in causa. A beneficiare della mediazione secondo me è soprattutto il lettore, che legge cose di maggiore qualità senza doversele scegliere una a una (tra l’altro un anno di abbonamento costa 24 euro, vedete voi).
E qui torniamo a noi. A questo scritto, a come gestire il complesso rapporto con quei cento euro totali provenienti dalle vostre iscrizioni dirette, a come sono stanca di cercare di convertire i follower (disattenti, disinteressati, la maggior parte mi segue come io seguo gli altri: con insofferenza crescente) in lettori.
Voi siete già lettori, e ringrazio ogni mese di non dovervi convincere a fare niente. Ecco, soprattutto vorrei che rimanesse uno spazio rilassante, questa forse è la principale Grande Idea che Spero di Realizzare. Allo stesso tempo vorrei che spontaneamente i lettori diventassero di più, perché questa alla fine è un po’ la questione, ne vogliamo di qualità e ne vogliamo tanti, di lettori, perché abbiamo un vuoto interiore ecc ecc. No. Perché abbiamo bisogno di lasciare un minimo segno in un’epoca che di base pare stare meglio senza di noi che con noi. Cioè meglio senza gente che scrive.
Per questo mi sorprendo e mi si apre il cuore quando trovo gente che scrive e scrive sullo scrivere senza chiedere scusa. Su Substack ci sono tanti scrittori americani (ne indico alcuni a fine pagina), e nessuno di loro ha queste paturnie che ho io a chiedere soldi e iscrizioni, va detto. Anzi, molti affrontano l’argomento apertamente e considerano questo rapporto diretto su Substack uno dei modi di risolvere l’annoso problema del vivere di scrittura. Lo dice per esempio Elif Batuman, autrice del romanzo l’Idiota, che non mi aveva convinto quanto invece mi convincono e in alcuni casi mi folgorano i suoi saggi qui - link a fine pagina insieme agli altri. In uno dei primi essay che ha pubblicato su Substack (Proust Pep Talk 1) ha scritto di un (altro) grande dilemma silenzioso della mia vita, ovvero: occuparsi del mondo, scrivere di cose immediate che richiedono immediata azione (presto, un articolo lungo sulla caccia con l’arco reintrodotta in Italia nella regione Liguria) oppure occuparsi dell’introspezione che è necessaria a scrivere un libro (il libro: come scrive lei, “I write books slowly”). Nella loro natura, le persone che scrivono pensano spesso alle stesse cose. Ovviamente nei risultati esistono scrittori di serie A e di serie Z, ma dico, chi vuole scrivere è animato da dubbi molto simili. Pensavo che considerare perfino gli studenti delle scuole di scrittura “scrittori” fosse una paraculata americana (qui non mi risulta che accada), ma in realtà è proprio così: essere scrittori è l’esperienza ben precisa di chi guarda il mondo già traducendolo in qualcos’altro; una descrizione diversa che ho sentito è che uno scrittore è qualcuno che viene fuori meglio per iscritto che dal vivo, non so se la condivido ma la trovo divertente.
Un altro che ha scritto bene di tutte queste faccende (la cultura, la scrittura, l’espressione di sé versus il branding di sé, i soldi) è l’autore britannico Tom Cox: in “Why I am here and not there” parla di social (ultimamente siamo ossessionati dalla nostra stessa schiavitù, mi sembra un buon segno) e chiede soldi in questa formula abbastanza cutesy che sottoscrivo: “Nearly all of the writing on my Substack page is free, and I welcome all free subscribers, but if you are able to take out a paid subscription, it helps me do more of what I love”. Vero. Nel mio caso mi aiuta a non scrivere mai più un post o un claim per un’agenzia, uno slogan, un concept creativo o un piece of copywriting. Spero che il lavoro di agenzia, che è l’equivalente della fabbrica per la nostra generazione - nella sua natura di sfruttamento, mancanza di dignità del lavoratore, mancanza di senso - venga presto completamente sostituito dall’intelligenza artificiale (lo è già, in parte). Certo, Tom Cox ha 10.000+ iscritti, ma you know the drill:
A proposito di giornali, e di come pare che “ma nessuno li legge”, lo sapete vero che se siete iscritti a qualsiasi biblioteca pubblica avete accesso a un sito - MLol - per la consultazione di quasi tutti i quotidiani e periodici italiani gratuitamente? Io lo do per scontato ma poi mi accorgo che nessuno lo sa, perché non ci fidiamo dei servizi pubblici, traumatizzati da tutti quelli che non funzionano. Invece usare i servizi pubblici è un modo per continuare a farli vivere, e pretendere che funzionino. MLol dà accesso a una app, Pressreader, che pagata privatamente costa 99 euro all’anno. In basso i riferimenti.
Infine, ecco un’immagine del posto in cui mi trovo mentre scrivo, che forse favorisce questo filosofeggiare senza pensare alle cose pratiche, e soprattutto favorisce le Grandi Idee che Non Realizzerò:
Reference & Links:
Il bookclub di Florence and the Machine
Nuovi Argomenti, rivista letteraria
Why I am here and not there, di
Periodici, raccolta corrente, Palazzo Sormani
Infine ecco come leggere i giornali tramite l’iscrizione a qualsiasi biblioteca italiana.
iscriversi in biblioteca, ottenere username e password del sistema bibliotecario, per esempio quello di Milano
accedere a https://www.medialibrary.it/home/ e selezionare il proprio sistema bibliotecario
fare il login: per Milano le credenziali sono le stesse della biblioteca; per il sistema di Genova metropolitana invece si riceve user e password via mail; a Roma non so, ma le biblioteche funzionano bene e lo stesso varrà per Mlol
scaricare la app PressReader, dopo aver fatto il login dal browser si connette automaticamente
Agevolo screenshot dal telefono per farvi vedere che è tutto vero:
Infine:
Ti ho conosciuta proprio durante i bookclub del Covid, che anche a me piacevano moltissimo e spero tanto che tu riesca a proporre un bookclub femminista periodico online :)