Male anzi malissimo
Come la politica americana è dannatamente divertente soprattutto quando è un trainwreck
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So che la politica vi annoia, ma è solo perché non sapete che quella americana è in realtà una sordida soap opera. Allo stesso tempo è un serie avventurosa con un eroe e un antieroe e un coro greco di commentatori. Però i commentatori non sono i vecchi assurdamente noiosi che stanno da Vespa e negli altri studi televisivi italiani, no, sono personaggi che si prendono la responsabilità dell’intrattenimento. Cioè che sanno di dover essere anche performer, oltre che commentatori, e non danno alla parola performer il limitato significato di fottuto pagliaccio che gli danno i commentatori italiani. Non guardo i dibattiti politici italiani perché l’incarico di parlare alla pancia del paese, intrattenere e trattenere il pubblico, tenere alta l’audience è interpretato solo come una corsa verso il basso, il putrido, una rincorsa a dire la cosa più polarizzante, più facilona, e quindi il risultato è un mucchio di gente che parla l’una sopra l’altra, che si interrompe in continuazione. Del resto non abbiamo proprio una tradizione di dibattito, il che si lega al fatto che non abbiamo una tradizione democratica. La cosa del “parla uno, poi parla l’altro” semplicemente non è contemplata, forse pensano che la gente si annoierebbe a sentire qualcuno completare un pensiero in due minuti ininterrotti. Invece a quanto pare non si annoiano a sentire quell’ansiogeno brusio di pollaio di galli troppo vecchi per qualsiasi bollito (lo so che il bollito si fa con le galline, ma quelli sono proprio vecchi galli mai stanchi e già bolliti). Si può davvero concludere un pensiero in due minuti, volendo, ma niente, che ce ne frega del pensiero. Giovedì 28 giugno c’è stato, sulla CNN, il primo dibattito per le elezioni presidenziali americane che si terranno a novembre, i cui candidati sono l’attuale presidente Joe Biden per i Democratici e l’ex presidente Donald Trump per i Repubblicani. Poi c’è uno strano terzo candidato che è un Kennedy ma ha delle bizzarre idee più vicine a un Beppe Grillo che a un democratico come erano i Kennedy, storicamente – ricordo che Kennedy in America è un po’ come dire Windsor in Inghilterra, poi adesso che va pure di moda l’old money style figuriamoci il nome ha il suo peso, ma per un profilo sul candidato rimando a un articolo di Paola Peduzzi su Review, linkato in fondo. Le regole di questo dibattito erano: ogni candidato ha due minuti per rispondere a una domanda del moderatore, e un minuto per rispondere ulteriormente dopo che l’altro ha parlato. Mentre uno parla, il microfono dell’altro è spento, quindi non è possibile interrompere. Durante la pubblicità i candidati non si possono confrontare con i membri del team o consiglieri. La maggior parte del dibattito si è svolta in split screen, quindi si potevano vedere le reazioni e espressioni facciali dei candidati. Be’: è stato un dannato shitshow. Ma proprio una cosa da non crederci. I giornali hanno detto: ecco come 90 minuti possono cambiare la storia. Non credo che cambieranno la storia – credo che Trump vincerà le prossime elezioni con pochissimo margine, o Biden le vincerà con pochissimo margine – ma sicuramente resteranno nella storia. Il fatto è che tutti collettivamente avevamo rimosso che Biden ha 81 anni portati malissimo, e ha chiaramente ineluttabilmente innegabilmente qualche forma di decadimento cognitivo – insomma in altre parole è rallentato e rincoglionito, non scandisce le parole, si perde nel bel mezzo delle frasi, anche senza interruzioni esterne. Il tutto in diretta, senza teleprompter, ed ecco lo shitshow. Non è successo così tante volte come si penserebbe a leggere le notizie, che si perdesse, ma è successo comunque un paio di volte in maniera clamorosa, cioè non a modi di “gaffe”, non un semplice “impappinarsi”. Perdere il filo del discorso può succedere a tutti, il problema è non riacchiapparsi. Il problema non è dire 15mila posti di lavoro invece di 15 milioni (anche se non è il massimo sbagliarsi su uno dei suoi cavalli di battaglia, visto che ha creato un mucchio di posti di lavoro e la disoccupazione non è mai stata così bassa e l’economia non è mai andata così bene), è sbiascicare, perdersi completamente, dare obiettivamente un brutto spettacolo. E’ solo una questione, come la chiamano loro, di optics, e cioè di apparenza, di brand? Essere in grado o meno di sostenere un dibattito con regole “amiche” (almeno lo sarebbero per me: più semplice parlare per 2 minuti che venire continuamente interrotti) mi sembra una questione abbastanza essenziale per un candidato presidente, non sono tanto optics. D’altro canto, Trump ha detto una marea di cazzate, bugie e cose orribili e disumane, come sua consuetudine, ma le ha dette in modo deciso scandendo le parole e in modo stranamente – come dire – composto per i suoi standard, coerente. Perché con uno straordinario intuito da narcisista psicopatico ha subito capito che stava combattendo contro un povero vecchio che si sarebbe messo nei guai da solo, bastava lasciarlo parlare, ogni secondo era peggio per lui. In altre parole, Trump è sembrato la voce della ragione, in questo dibattito. Capito perché è appassionante? Perché è tutto assurdo. Ma non lo dico in modo cinico, cioè forse un po’ di cinismo è dato dalla lontananza geografica dal luogo della distruzione, ma c’è sempre la consapevolezza che la distruzione di laggiù avrà degli effetti diretti anche qui. Qualsiasi fosse la domanda, Trump diceva cose wild and crazy sempre sull’immigrazione, sul confine, su come ci sono milioni e milioni di persone “anche scappate da prigioni e istituti psichiatrici” che vengono a rubare i lavori, “anche i lavori neri” (oh yes, he said that). Però la questione è che la gente non si innamora dei fatti, si innamora della storia, e chissenefrega se non è vero, se gli immigrati illegali non sono milioni, se non rubano i lavori ma contribuiscono a far crescere l’economia; chissenefrega se non è vero che durante la sua presidenza (di Trump) “l’acqua era pulita e l’aria non inquinata” (he said that). Ci sono i fact checkers, che commentano il dibattito punto per punto dopo che il dibattito è andato in onda, ma non sono parte della narrazione e parte dello show, e la maggior parte della gente a quel punto ha già spento il televisore. Anche perché, diciamolo, seguire il contenuto di quello che farfugliava l’anziano Biden non era per niente televisivo. Ma non era per niente ascoltabile, in generale, anche se ce l’avessimo avuto in casa. Era uno di quei rari casi in cui la parola cringe si può usare a ragion veduta, perché era imbarazzante stare a guardare un povero vecchio che non riusciva ad articolare le parole e doveva difendere la sua presidenza. La cosa particolarmente terribile è che è stata un’ottima presidenza - lavori, economia, tutto bene per chi vive là – che dovrebbe essere facile da difendere, e che lui non riusciva a comunicarlo. Dall’altro lato Trump sparava cazzate con un tono compunto e serio, e a un certo punto è riuscito a dire – lui! – “let’s not act like children” - in un momento veramente poco edificante in cui si sono messi a discutere dei rispettivi handicap nel golf, eccolo qua per voi:
Ci sono tanti modi di avere 81 anni, ma Biden non ha avuto la benedizione di invecchiare bene. A un certo punto si è inerpicato in una frase nel mezzo della quale si è perso e che non è mai riuscito a recuperare, o deviare, o a fare qualsiasi cosa, e Trump ha fatto il commento fintamente pietoso (nei modi, e nei toni, perché avrebbe potuto infierire molto di più) ma particolarmente impietoso nel contenuto: “non ho capito cos’ha detto e non lo sa neanche lui cos’ha detto”. Ecco una clip di 2 minuti su questo momento:
Se volete una versione condensata ma comunque piuttosto lunga (35 minuti) di “tutti i momenti salienti del dibattito”, eccola qui:
Qua trovate tutto il fact checking sulle cazzate dette da Trump (30+) e da Biden (9 circa). Mentire è alla base della politica, sembra, ma la pratica del fact checking è particolarmente americana, non esiste questa cosa in Italia che io sappia (del resto non abbiamo avuto un dibattito Meloni-Shlein a causa della folle legge sulla par condicio in campagna elettorale per cui avrebbero dovuto avere un dibattito anche tutti gli altri candidati):
La morale della favola…Ce ne sono tante di morali. Quello che voglio dire per prima cosa è che c’è un godimento voyeristico nel seguire quest’elezione, non a caso la seguono tutti in tutto il mondo e non seguono, per esempio, la noiosissima campagna elettorale britannica in cui vinceranno i Labour dopo 14 anni di governo conservatore. Non è solo che gli Stati Uniti hanno un impatto più diretto sugli equilibri geopolitici, è proprio che si tratta di un gustoso polpettone in cui tutto eccellono nel loro ruolo, anche nel peggio. Non mi è piaciuto vedere Biden in quelle condizioni, perfino io ho provato un po’ di rabbia per un partito Democratico che non è riuscito a tirare fuori un candidato migliore, un piano B, un modo di convincere l’anziano a mollare l’osso. Questa è la prova provata che gli uomini non mollano mai l’osso: ancora devo vedere un uomo di potere che accetti di ridurre quel potere e di ritirarsi gradualmente, come invece spesso fanno le donne molto prima del tempo, si veda Sanna Marin, Jacinda Ardern. Ma c’è anche il gusto di assistere a una cosa divertente, non lo nego. E’ tragico, ma è anche divertente. Trump che riesce a dire “I did not have sex with a pornstar” in un dibattito in diretta guardato da milioni di persone, eppure tutti noi che ci ricordiamo solo del rincoglionimento di Biden. Biden che non riesce a dire una cosa incisiva nemmeno sull’aborto. Nemmeno sull’attacco al Campidoglio. La drammatica espressione con la bocca aperta, che ho catturato per voi in questo screenshot:
Di tutti i commenti e pezzi che sono andati virali, la cosa più geniale mi è sembrata questa:
Trump: starts speaking
Biden: 😦
Ma la cosa più realistica:
Im a Biden fan and i turned it off after 5 mins. That was painful to watch. I actually felt like Trump almost felt bad for Biden and took it easy on him, and Trump doesnt even have a soul.
Tutti i democratici impanicati, a dire che deve lasciare la corsa presidenziale a qualcun altro. Il nome di Michelle Obama che continua a girare negli scenari di fantapolitica come una specie di sogno a occhi aperti o fantasia erotica per nerd di politica. Quanto ameremmo vedere un dibattito Trump-Michelle Obama? Io molto. Non succederà, ma è appassionante pensarlo, di certo più appassionante delle diatribe dei “cacicchi” del PD, qualsiasi cosa voglia dire (non l’ho mai voluto capire). Insomma l’America ci fa sognare anche nella politica, è come se il Presidente fosse un avatar della nazione: dev’essere forte, carismatico, o almeno serio, rassicurante, noioso ma come un nonno (come era Biden 4 anni fa, adesso è il bisnonno mummificato e riportato in vita come in un romanzo di Alisdair Grey). Il presidente dev’essere qualcosa, è la definizione dello storytelling. Una persona ragionevole che ha fatto il suo lavoro bene ma che è seriamente compromessa dal punto di vista cognitivo non è una storia. Cioè, è una storia dell’orrore, non è una storia politica. Non si possono obbligare i giovani che di solito non votano a votare per uno di questi due. Ok, uno è uno psicopatico bugiardo patologico e decisamente una minaccia alla democrazia e a qualsiasi cosa giusta, ma l’altro ha la demenza senile. Dai. Incredibile questa patologia che prende tutte le nazioni quando c’è da andare “contro a un cattivo”. Diventa un po’ “contro a un cattivo, va bene tutto, perché lui è davvero molto cattivo”. Ok, ma Biden è davvero molto rincoglionito. Non è possibile fare gaslighting a tutto il paese e a noi che in altri paesi seguiamo un po’ l’America per convincerci del contrario. Che è ok avere una persona non lucida e andarlo a votare come presidente.
Come tutte le saghe, anche questa ha le sue ramificazioni e fanfiction. Io sono appassionata di un podcast che purtroppo esce una sola volta a settimana (in questo periodo me lo ascolterei anche tutti i giorni), che è la versione americana del famoso podcast britannico The rest is politics, in cui un Labour moderato e un Tory moderato commentano i fatti del giorno – domestic AND international – un paio di volte a settimana.
Ma la versione americana è la vera droga. In The Rest is Politics US troviamo Anthony Scaramucci, detto The mooch, italoamericano ex Trumpiano, responsabile della campagna elettorale del 2016 ma licenziato come capo della comunicazione dopo solo 11 giorni in servizio (il 31 luglio 2017), che da allora ce l’ha a morte con Trump, e ha messo i suoi poteri al servizio del Bene (cioè al servizio del commento politico di intrattenimento, quindi del bene mio). E troviamo la britannica Katty Kay (che nome spettacolare), naturalmente Oxford alumna, già reporter della BBC da Washington, ora freelance e analista politica per varie trasmissioni (e ancora per la BBC, e per questo stupendo podcast). Insieme semplicemente funzionano. Hanno entrambi la giusta dose di serietà e intrattenimento (entrambi! Non triti giochi di ruolo in cui lui è il giullare e lei la maestra!). Il modo migliore per conoscerli è ascoltare la puntata a caldo post dibattito (è anche su Spotify, ma credo che il botox di Scaramucci sia un valore aggiunto all’esperienza):
Sul terzo candidato, l’articolo di Paola Peduzzi su Review, intitolato Questo è il Kennedy che tocca a noi:
https://review.ilfoglio.it/questo-e-il-kennedy-che-tocca-a-noi/
Che dire, se non stavate seguendo questa campagna elettorale e siete arrivati alla fine, spero di avervi messo in pari - non su tutto, chiaramente, ma a quello ci può pensare The rest is politics: che fortunati se non avete ancora ascoltato una puntata, potete andare indietro e recuperarle tutte dall’inizio.
Inoltrate questa mail a un amico sfortunato che ancora non conosce The Mooch. E, se potete, fate l’upgrade a pagamento per sostenere Velluto.
Alla prossima.