n.20 Pretty woman
Qualche giorno prima di Natale sono andata al mare. Di solito i caloriferi sono spenti da mesi e la casa è umida - ho una serie di indumenti che tengo lì proprio a questo scopo: il pigiama di pile rosa, un gilet da butch verde militare, una serie di maglioni di Kiabi. Per uscire, ho un’uniforme composta da un maglione-vestito a collo alto e leggins. Di solito non serve altro, perché fuori la temperatura dicembrina è mite, e eventualmente qualche giacca a vento di vent’anni fa nell’armadio si trova sempre. Quest’anno, però, mi ero fatta accendere i termosifoni giorni prima dalla signora che molto gentilmente ogni tanto si occupa dei vasi che per le raffiche di vento invernale vengono sbatacchiati qua e là sul terrazzo, anche se contengono palme chica ormai enormi che pesano molti chili. Quindi sono arrivata il 22 dicembre nel primo pomeriggio dopo il cambio a Genova Principe – a Principe mangio sempre da McDonald’s, da quando l’hanno aperto lo trovo parte imprescindibile del rituale, e da quando non mangio carne prendo soltanto le patatine con la Coca, anche se da sole costano più del menù intero – e in casa non faceva tanto freddo, anzi non faceva freddo per niente.
Non so se è da lì che le cose hanno cominciato ad andare storte, dalla temperatura sbagliata, ma ho riscaldato la lasagna che mi ero portata e mi sono messa sul divano con il pile sulle gambe, a leggere qualcosa, guardando il famoso panorama che tutti voi conoscete perché me lo contemplo, me lo fotografo, me lo metto su Instagram (ultimamente meno, perché what’s the point). Il panorama era sempre bello ma il mare mi chiamava meno del previsto. Ho finito di leggere A Manchester con gli Smiths, un libro di quella collana dell’editore Perrone che fa le guide tematiche alle città – una premessa noiosissima, ma poi invece ‘sti libri (ce ne sono ormai varie decine) si fanno anche leggere. Alcuni più di altri, e non pretendo di averli letti tutti, e certamente i luoghi più interessanti danno anche vita ai risultati migliori (A New York con Patti Smith, della mia amica Laura Pezzino) ma in media hanno di buono questa sorpresa: che si fanno leggere. Nell’ultimo numero di Velluto dicevo che quando avrò tempo scriverò una cosa come “A Manchester con gli Oasis”, ed è così che ho scoperto che esiste A Manchester con gli Smiths (di Giuseppina Borghese). Secondo me l’editoria sottovaluta questa nuova voglia che i lettori hanno di farsi spiegare le cose, le cose che non conoscono, da una voce calda e narrativa. Secondo me, ma sono in minoranza a crederlo, la pura fiction con le scene fatte come nelle serie tv dimostra i suoi limiti: in fondo quello è solo UN modo di scrivere, che è stato di moda nella letteratura per un determinato periodo – forse ha raggiunto il suo apice nella letteratura americana di fine ‘900. Del resto Alessandro Baricco, nell’intervista di due ore pubblicata sul Post (un podcast aperto a tutti), sostiene di averlo portato lui in Italia questo modo di scrivere a scene cinematografiche, e che prima non c’era. Prima degli anni ’90, sarebbe. Non so.
Comunque ero lì il 22 dicembre al mare a leggere e riscaldare le lasagne dell’Esselunga che mi ero portata, e qualcosa non mi quadrava, allora ho cercato su Netflix serie natalizie tipo quella dell’infermiera veneziana che parla con accento romano, ma non ne ho trovate. Ho trovato però Pretty Woman, che è stato recentemente aggiunto alla piattaforma, e l’ho quindi riguardato con una diversa attenzione – l’avevo visto ogni volta che lo davano in tv, ma non guardo la televisione normale da molti anni (per certi versi è un peccato, ma questa è un’altra storia).
Voi pensate che stia per dire che la disparità di potere fra Vivian, sex worker ventenne bella come Julia Roberts a 22 anni, e Edward Lewis, imprenditore milionario quarantenne bello come Richard Gere a quarant’anni, è problematica e sospetta; e che è anche un po’ cringe lui che la sveste e la riveste e le dice quali vestiti le stanno bene e quali no, vestiti che comprerà con la sua carta di credito. Molto Pygmalion, in effetti. Tuttavia, non mi interessa molto dire questo, al contrario l’ho trovato illuminante per come mi ha ricordato che tutta la narrativa e la fiction (scritta, cinematografica) la scriviamo e guardiamo per inseguire un desiderio, un certo erotismo in un’accezione molto ampia di erotismo e cioè forza vitale sottotraccia che ci muove più di quanto ci muova la ragione. Non voglio dire che ora ‘fanculo al progresso e all’emancipazione, anzi sono convinta che i cambiamenti nella società cambino e allarghino il nostro desiderio, o l’orizzonte di cose che possiamo desiderare (sicuramente vero per le donne). Voglio solo dire che quella dinamica di geisha empowered da anni ’90 aveva la sua carica di interesse e la mantiene ancora oggi. Credo che il film parli di abbandonare il controllo: lui perché paga e quindi con quel gesto di controllo supremo (pagare, avere i soldi) può abbandonare tutti gli altri gesti (essere presente, essere un bravo fidanzato, e cioè trattare la donna in questione con un rispetto che però è anche di per sé transazionale, cioè parte di quell’accordo della coppia contemporanea per cui si è partner e complici). Lei perché prendendo dei soldi e offrendo la sua gioventù e bellezza può fregarsene di essere socialmente accettabile, o meglio la barra di accettabilità sociale è molto bassa, deve solo preoccuparsi di essere charming (cosa che già è, e come dice lei stessa “it’s easy to clean up when you have money”) e di rendere felice lui. Che alla fine è Richard Gere nel fiore degli anni, quindi rendere felice lui si allinea abbastanza facilmente col suo desiderio.
Il punto fondamentale mi sfugge da quest’analisi, il punto fondamentale è che tutti noi e tutte noi amiamo o ameremmo abbandonare il controllo di tanto in tanto, e l’abbiamo fatto in qualche dinamica relazionale, e che questa fase di abbandono del controllo sia una cosa che brilla, che vale la pena raccontare, anche se magari dopo l’abbiamo pagata cara (a meno che non siamo così illuminati e consapevoli da inserire questa dinamica nella nostra vita come simulazione o gioco, senza puntarci tutte le fiches della nostra vita). Quello che voglio dire è che il dopo possiamo raccontarlo o no, a seconda del genere (si può andare nella tragedia, si può andare nell’horror), ma qualsiasi narrazione deve raccontare il prima, e cioè qualsiasi fiction ha dentro almeno una goccia di commedia. Forse perfino di commedia romantica. Qualsiasi fiction (qualsiasi storia) parla di desiderio, o non funziona.
Nel 2023 ho scritto varie cose sui giornali, qui c’è un recap di quello che è anche online e leggibile gratuitamente:
Su Review, la rivista culturale del Foglio:
La Spiritualità dello yoga è tutta corpo e sesso, Review, Febbraio 2023
Scene da un matrimonio italo-finlandese, Review, Marzo 2023
Stasera sono una rockstar, Review, Maggio 2023 (la cosa migliore che ho scritto quest’anno)
Se Barbie è scema lo siamo tutte, Review, Giugno 2023
Quaderno di Settembre: Addomesticare il tormento, Review, Settembre 2023
Sul quotidiano Il Foglio:
La terza via (Il fratello del famoso Jack)
Inchiesta sul sesso contemporaneo: Il sesso non va a finire per forza a letto
Andare al Lido e non trovare Venezia
Cosa può fare lo stato sui femminicidi
Sul quotidiano Domani:
Ci sono cose che le donne non possono raccontare
Una famiglia finemondista in una Milano viennese
La vita, la malattia e la morte è il trionfo dell'autofiction
Filippo Turetta era un grandissimo sfigato
Su Elle (sul cartaceo ho una rubrica fissa con una mia foto in cui sono bella e più giovane, ma pochi di questi pezzi sono online):
Sul Post:
Un incontro, in India (in cui racconto le ultime sul paese, dall’ultimo viaggio che ho fatto in India, a Febbraio 2023. Ero in luna di miele, ma era un periodo particolarmente prolifico.
Infine, sto scrivendo un romanzo.
Inserisco un elenco quasi completo dei libri che ho letto nel 2023, senza particolari commenti, ma come possibile fonte di spunti e idee di lettura:
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