Sto leggendo un libro bruttino che sta andando per la maggiore in mancanza di meglio, nel grande vuoto che è rimasto nella categoria “romanzi di finzione”: Cleopatra e Frankestein (Einaudi). Per promuoverlo hanno usato un sacco di paragoni con delle grandi autrici che hanno avuto grande successo prima della pandemia (Sally Rooney, Emma Cline, Ottessa Moshfegh). Dalla pandemia in poi sembra che nessuno riesca più a raccontare le relazioni fra persone, o a farne il centro del racconto. In un clima di difesa e sospetto volgiamo lo sguardo più su noi stessi che sugli altri. Il confronto con le autrici citate fallisce puntualmente, ma forse è proprio quel modo di raccontare le relazioni che non è più attuale. Paradossalmente non è più attuale quel modo ipercontemporaneo di raccontare i rapporti, cioè trattare le relazioni umane come se fossero qualcosa con cui abbiamo grande dimestichezza. Vado in un bar, conosco gente, vado a letto con uno parlo con tutti, grandi avventure. Ma onestamente, chi fa queste cose? Questa nonchalance, questa socialità non mediata da schermi, questa disinvoltura, non è più la nostra vita.
E poi c’è il fatto che in questo stato di tensione costante (pandemia, guerra, divisioni interne al paese che entrambe le crisi hanno esacerbato, quando non creato da zero), viene da leggere solo cose che riguardino la realtà. Che siano in qualche modo vere, come se la finzione fosse un qualcosa di ozioso che non ci possiamo permettere. Fin dall’inizio, Cleopatra e Frank in terza persona mi hanno dato un senso di vacuità, che è peggiorato man mano mentre leggevo di tutti quei personaggi leziosamente newyorkesi, i loft, le “ultime righe di coca sniffate tra i seni lisci di Cleo” (Gesù) che niente di niente sembrano avere a che fare con la mia vita e i miei pensieri attuali, nessuna affinità, nessuna rilevanza. Al lato opposto dello spettro, il nostro Zerocalcare è uscito con la sua seconda serie animata Netflix, che sembra preoccuparsi al contrario solo di cose collettive, che riguardano tutti, e che tutti abbiamo pensato in qualche forma. Guardare Questo mondo non mi renderà cattivo (il titolo della serie di Zerocalcare) mi ha fatto pensare al suo autore: ossessionato dall’understatement, dal non cambiare quartiere stile di vita non ostentare, dall’essere uno di noi, uno dei tanti, una voce del collettivo.
Alla fine Rebibbia e Manhattan sono da me ugualmente distanti, ma Calcare, che è diventato Calcare anche perché non ha fatto le scuole dei tanti ma le scuole dei pochi, il prestigioso liceo francese di Roma Chateaubriand, di quei tanti riesce a parlare benissimo. È come se la scuola di qualità non avesse cambiato in nulla la sua vita se non ne dargli il dono della parola. Cioè il dono di 1) credere di aver qualcosa da dire 2) avere gli strumenti per dirlo.
La scuola ha cambiato la vita anche di Edouard Louis, autore francese prima di Il caso di Eddy Bellegueule (2014) e oggi di Metodo per diventare un altro, un memoir che si concentra sul cambiamento volontario da parte dell’autore di ogni cosa di sé stesso riconducibile alle sue origini, sottoproletarie e violente. I denti, l’attaccatura dei capelli, il modo di ridere. Mi sembra straordinaria l’impudicizia con cui alcuni autori in questo periodo riescono a parlare di sé, di origini, di cambiamento (del presente). A confronto di questa verità, la storiella newyorkese di Coco Mellors mi sembra paragonabile ai romanzi di genere di Felicia Kingsely: va bene che ci sia, ma non facciamolo passare per culturalmente rilevante.
Poi ho letto un (finto) diario, e cioè Quaderno Proibito di Alba de Cespedes (1952), che era nell’elenco di scrittrici italiane riscoperte e da recuperare. Non è strettamente autobiografico ma lo è nella forma, e lo è nella profonda verità di questo personaggio che sembra tutte le nostre madri e anche un po’ noi, il femminile tossico. Tossico perché oppresso ma anche perché complice dell’oppressione, particolarmente accanito contro la prossima generazione di donne.
Insomma, la fiction, quando c’è, è irrilevante, l’autobiografia però mi sembra in ottima forma. Certo, l’autobiografia è anche stancante, e forse non leggiamo più (non leggo più) per svagarci, appaltiamo alle serie tv l’intrattenimento.
In un paio di settimane infatti ho visto tutto Succession, quattro stagioni che guardate concentrate fanno uno strano effetto Dynasty, o Beautiful, incompatibile con le sottili letture che di questa serie si sono fatte. Ma anche questa delle letture critiche è più una percezione; sono andata a cercare che cosa dicono i prestigiosi-giornali-americani di questa serie di cui si è molto parlato, e be’ non dicono molto, perché non è che ci sia molto da dire. Personaggi stronzissimi parlano veloce e si maltrattano a vicenda senza il minimo senso, ma vestiti benissimo, e mi raccomando senza marchi in vista (quiet luxury).
Mi è sempre più chiaro che l’Italia non è Roma e non è Milano, da un lato più sto lontana da Roma e Milano più mi sento che torno normale, a parlare di cose normali, dall’altro mi coglie ogni tanto uno sconforto politico, per cui mi fisso con la lettura dei giornali e su alcuni discorsi di cronaca sui quali prendo appunti aspettando di capirne di più, di poter dire (a volte nella speranza di incidere un po’ sulla realtà). Ultimamente sto seguendo le notizie sugli abusi sessuali nelle agenzie pubblicitarie, materia di cui sono mio malgrado già piuttosto esperta per osservazione diretta, ma la realtà è che nessuno dei giornali principali prova neanche a fare una reale inchiesta, a riprendere i pezzi di informazioni apparsi qua e là (Facebook è la fonte principale del materiale di questa notizia), mettere una persona a lavorarci e a cercare le persone, intervistare scavare indagare, scriverne. Macché. Il Corriere della Sera piuttosto i toni li smorza, non riporta le vicende più gravi, dei virgolettati fa una parafrasi pudica. Eppure sarebbe tutto lì, in bella vista. Ma mi sembra chiaro che siamo in tempo di controriforma, non c’è giorno che qualcuno non dica che non può più dire niente, e che finiremo che non si potrà più salire in ascensore con una donna. In questo periodo è di moda la cattiveria, quella idiota di Succession, quella terribile della legge del più forte, e chi cerca di conservarla si sente addirittura rivoluzionario, come fosse una crociata a restare pessimi, un impegno a fermare il bene e continuare a rivoltarsi, con goduria, nel male.
I'm still processing your piece, but I can't agree more about 'Succession' (and your comparison to Dynasty and Beautiful)