Alla fine, tutti distratti quest’estate dalla questione Lanzichenecchi (poi la riassumo), nessuno ha commentato l’articolo di un altro giornalista boomer che ha scritto che lui è da 20 anni che sta senza social, non li ha mai usati. Nessuno ha detto neanche un grazie al cazzo, quand’eri giovane tu il giornalismo era un lavoro stabile e prestigioso, non dovevi autopromuovere i tuoi articoli pubblicando la fotina del giornale (che poi tanto nessuno legge comunque). Naturalmente promuovere il proprio lavoro sui social non serve a niente, è stato un imbroglio, ma un imbroglio in cui noi millennial siamo caduti con tutti i piedi. Perché non è vero in assoluto che non serve a niente, alcuni ci hanno costruito un mestiere florido: tante psicologhe, armocromiste (sic), dietologhe, ginecologhe, personal trainer. Tra l’altro è una modalità di lavoro che ha favorito le donne, perché non ci sono capi potenzialmente bavosi e gerarchie fallicocentriche in cui dover dimostrare di essere tutte d’un pezzo. C’è invece il contatto diretto con il proprio pubblico eccetera. Però, per tutti noi che non offriamo servizi, i social non sono serviti a niente. Che scoperta, direte voi. Ma io ci ho messo una decina d’anni a capirlo, che non solo avevano effetti collaterali negativi, ma non avevano nessun effetto positivo. Il mio account Facebook originario, creato nel 2006 e inattivo dal 2014, me l’ha hackerato qualcuno in Vietnam, continuano ad arrivarmi le mail di aggiornamento su quello che fanno gli amici di una vita, ma è tutto in vietnamita, o forse è cambogiano, ho provato a segnalarlo ma niente. Nella risoluzione problemi a “mi hanno hackerato l’account” non c’è una soluzione (se mi volete aiutare e segnalarlo, l’account si chiama Erre Esse). Questo per dire che quello che ci raccontavamo una volta, “restare in contatto con gli amici”, non regge più, e comunque quali amici, chissenefrega. Instagram da essere uno svago è diventato la Vetrina dei Successi: da quando non lo uso più sto molto meglio, sono più concentrata sulla mia vita reale, sono in fase di recupero di una specie di prospettiva, la lucidità di relativizzare gli eventi. Non so come spiegarlo senza suonare scontata, ma non si può “usare con moderazione”: bisogna cancellare l’app, disinstallare, eliminare. Di tanto in tanto ci entro dal computer, e penso: ma questi stanno ancora qua. A commentare Barbie e i Lanzichenecchi, a credersi informati mentre girano in tondo in quello spazio virtuale che in realtà è piccolissimo.
La questione Lanzichenecchi è la seguente: un ricchissimo giornalista boomer (livello aereo privato, aristocrazia industriale, 1%) racconta la sua esperienza su un treno per Foggia in business class, circondato da un gruppo di adolescenti sguaiati con le scarpe sui sedili che lui chiama Lanzichenecchi. A chi piace viaggiare con gli adolescenti maleducati? A nessuno. Però i social se la sono molto presa, oddio, il privilegio, vergogna, poveri giovani, proprio un mare di merda che soltanto uno con l’aereo privato ha le spalle abbastanza grosse per sopportare. E questo ci porta al mio secondo punto sui social: non avrei mai pensato di dirlo, e invece devo constatare che non si può più dire niente. Il tribunale dei social è anche nella mia testa mentre scrivo gli articoli. Per ogni punto dico anche il punto contrario. Ogni vera intuizione la smorzo, la addomestico. Per pararmi da tutti i lati faccio appello alla logica, che metto in evidenza, se questo è questo allora quello è quello. Cioè mai una volta che possa dire: odio i giovani sguaiati con le scarpe sui sedili. Odio i vecchi che votano e ci schiacciano con i numeri (questa l’ha detta un’influencer ed è stata massacrata al punto tale che racconta di aver pensato al suicidio – non stento a crederci). Odio l’Anteo (anche questa l’ha detta l’influencer, come se non fosse vero che ci andiamo tutti solo perché fa i film in lingua originale, e le sale sono brutte ed è tutto di plastica e puzza di Eataly). Odio i doppiatori (apriti cielo, abbiamo “i più bravi del mondo”).
Insomma non si può esprimere un punto chiaro. Adesso dicevo per dire, non odio i vecchi che votano, ci mancherebbe, il nostro passato le nostre radici (però non ci saranno quando andremo tutti a fuoco perché nessuno ha votato le politiche ambientali). Non odio niente, per ogni punto I can argue the opposite. È questo il problema. Sono ridotta a invidiare i super ricchi che sono gli ultimi rimasti ad avere garantita la libertà di espressione, perché del tribunale dei social se ne fottono, e alle porte hanno le guardie armate.
In principio gli uomini bianchi, ricchi, etero, potevano dire e fare quello che volevano. Tra l’altro sui social questa fase ha avuto il suo culmine con quel trend di “droga sesso e pastorizia”, non so se ricordate, gli uomini anonimi sui social dicevano cose minacciose e violente su donne reali.
È stato poi introdotto un correttivo, per la verità molto blando qui da noi: non c’è mai stata una reale conseguenza negativa del dire cazzate misogine e bigotte. Nessuno ha mai perso il lavoro. Però c’era un po’ di polemica, un po’ di condanna (giusta, giustissima: siamo in una società civile e la società civile deve avere delle norme sociali). Notate bene, nella realtà mi sembra che questa condanna non sia mai davvero arrivata. Che gli uomini bianchi etero benestanti possono ancora dire e fare quello che vogliono. Ma noi ci siamo distratti sui social, distratti in massa, quindi restiamo lì. A un certo punto è successo che la norma sociale ha colpito non solo le cose minacciose, violente, bigotte. Ha colpito qualsiasi opinione. Soprattutto – attenzione – se espressa da minoranze e dalle donne. Sarà un’impressione mia eh, ma mi pare che soprattutto noi dobbiamo stare attente perché la shitstorm è più forte se arriva a noi. Siamo già ospiti in qualsiasi spazio, come gli ospiti al primo sgarro veniamo sbattute fuori.
Se in generale sono contenta che l’era delle influencer di ogni genere sia agli sgoccioli – inclusa Ferragni capolista – non mi diverto a vederle prese di mira in continuazione. C’è un account Twitter che fa il giustiziere, pubblica dei video estrapolati dalle stories e le mette alla gogna. Non lo seguo, ho detto “mostra meno”, e comunque mi appare (grazie a Dio con Twitter non ho mai ingranato, ogni volta che ci entro è una fiera degli orrori): è terribile. Spero che Musk lo riduca in cenere presto. Ma che ne facciamo di Zuckerberg? Io non voglio giocare più a questo giochino. Non gioco più Fede, dillo alla mamma dillo all’avvocato (prima o poi dovrò smetterla, ma non è questo il giorno).
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Le cose migliori che ho letto a Luglio senza i social:
L’opera omnia di Edouard Louis, giovane autore francese nel solco di Annie Ernaux, in Italia pubblicato da La Nave di Teseo
Caro stronzo, di Virginie Despentes, romanzo epistolare di famosa femminista francese conosciuta per King Kond Theory, questo è il suo libro più riuscito
Nevada, di Imogen Billie, memoir di una transizione, pubblicato in America nel 2013 e quest’anno in Italia da Feltrinelli
Le cose migliori che ho ascoltato a Luglio senza i social:
Il podcast Limoni, di Annalisa Camilli, sul G8 di Genova del 2001 e le violenze della polizia - ho dovuto radunare il coraggio per ascoltarlo, perché era un attimo che mi trovavo a Bolzaneto pure io, e perché lì c’è il motivo per cui la nostra generazione non scende in piazza per niente, mai, è tutto lì e va ascoltato.
Quello che ascolto continuativamente:
Today in Focus, del Guardian, che sostituisce i podcast di “daily news” italiani perché non trovo il giusto approfondimento
EuPorn, di Paola Peduzzi e Micol Flammini, settimanale di politica estera e relazioni internazionali
The rest is politics, due celebri boomeroni inglesoni (Alastair Campbell e Rory Stewart) chiacchierano sulla situazione politica con focus UK
Ho visto Barbie e ne ho scritto su Review . Non ho ancora visto Mission Impossible, perché dappertutto doppiato dai maledetti doppiatori, ma lo utilizzerò come illustrazione:
Grazie a chi sostiene questa pubblicazione con un abbonamento o una somma di denaro.
Buon agosto
Thanks for the inspiration to uninstall, much needed here too