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Cari amici,
sono a Roma, litigo con la gente appena incontrata, a volte vado al cinema da sola. Mi sembra di dover ricostruire tutte le basi minime dell’emancipazione: più che a Londra-Parigi-Madrid mi sembra di stare a Mumbai, le strade buie mi danno una certa sensazione di fragilità, la metropolitana di sera (chiude alle 23.30) non mi fa stare proprio tranquilla, i taxi chissà se ci sono, quindi sono regredita, la città pratica l’oppressione della pluralità dei corpi, e a me sembra già un miracolo andare al cinema Barberini.
Qui ho visto Hors-Saison: un film francese che era anche a Venezia, ma io me l’ero perso. Ieri un amico mi ha detto: questo è proprio il mio film, un mio film del cuore, quello che proporrei di vedere a casa con un’amica; ed è vero, anche a me la sinossi aveva fatto quest’effetto caldo e consolatorio. Cercavo un attimo di tregua: avete presente quando alcune blogger che parlano di libri dicono un “libro coccola”? Mi è tornato in mente cosa vuol dire. Buttata in mezzo ai lupi, ne sono uscita vogliosa di rannicchiarmi in un cinema con un film d’amore francese, su due che non si incontrano mai. C’è Alba Rohrwacher che fa la maestra di pianoforte italiana trasferitasi in una piccola località di mare della Francia del Nord; c’è Guillame Canet, mai visto né sentito prima (lacuna mia) che fa lo splendido cinquantenne, attore di successo ma comunque insicuro, che rinuncia al debutto in teatro per paura, e si rifugia in una spa proprio nel paese di Alice, che è anche la sua ex, relazione di una quindicina di anni prima. I due si rincontrano, seguono pomeriggi in sale da tè calducce, passeggiate sulla spiaggia battuta dal vento dell’inverno (fuori stagione), chiarimenti sul passato. La sofferenza del personaggio di Alba Rohrwacher, che non ha solo a che fare con l’essere stata lasciata tanti anni prima, ma soprattutto con la resa dei conti dei quarant’anni, di come è andata la vita rispetto a quello che si immaginava, di quanto ha lasciato che il mondo la vedesse e di quanto è rimasto invece “tutto nel mio telefono”, è commovente. Ma lui non sembra mai un grandissimo stronzo, al contrario, emerge la diversa inclinazione, come se ognuno fosse vittima del proprio arco di persona/personaggio, un arco che lo porta lontano dall’altra. Insomma: due che si amano ma non riescono a stare insieme. What’s not to like. Forse il fatto che è incredibilmente lungo e strascicato, però: spiagge bretoni. Paesaggi beige. Mare in tempesta. Vale la pena.
Ho letto tanto quest’estate (cft. Grandi idee che non realizzerò), ma poi mi sono un po’ persa, questo mese l’highlight è stato andare al festival di Venezia, di cui ho parlato sulla Review del Foglio (in edicola per tutto il mese). Ho letto il libro Povere Creature!, da cui è stato tratto il film che ha vinto il Leone d’Oro e arriverà al cinema a Gennaio, e ho letto Tutto quello che so sull’amore di Dolly Alderton (Rizzoli). Entrambi mi sono piaciuti molto, ma quest’ultimo di più. Non mi spiego come questo libro (un libro che è proprio un mio libro, nel senso che è il tipo di libro che vorrei leggere molto più spesso) in Inghilterra sia un best seller da 500.000 copie (quindi non ho gusti così di nicchia! Sono di nicchia solo per l’Italia), mentre qui è un fenomeno molto contenuto, mentre vanno per la maggiore i libri che io chiamo “in costume”, ambientati tanto tempo fa, con una protagonista femminile rurale che però è anche segretamente empowered.
Ho passato l’estate a riascoltare gli Smiths e altre band inglesi degli anni ’80, per qualche motivo, e in generale ho una lacuna sul cantautorato italiano. Una lacuna che non mi interessa colmare, in linea di principio (e qui so di deludere molti di voi) perché è un tipo di musica maschiocentrica, maschioprodotta, maschiotutto, tutte le cose che sappiamo, però ho visto il documentario Enzo Jannacci – Vengo anch’io, perché mi avevano promesso che ci avrei visto molta Milano. Non ci ho visto abbastanza Milano (anche se c’è J-Ax che suona i citofoni e Vecchioni seduto sul vecchio tram 19), ma è stato piacevole imparare qualcosa; è apparsa una sola donna in performance (Milva) e una sola donna parlante (Dori Ghezzi, artista e moglie di Fabrizio De André). Anche se ultimamente va di moda dire che basta con questo riscrivere la storia, basta con questo politicamente corretto, se vedi un’ora e mezza di carosello di maschi cantanti la cosa si nota. Non mi disturba più come un tempo forse perché ora so di non essere l’unica a notarlo.
Ho visto su Netflix El Conde, di Pablo Lorrain (registra tra gli altri di Spencer), su Pinochet, Pinochet immaginato vampiro che ancora oggi succhia il sangue al Cile e a tutto il Sud America – forse a tutto il mondo. Ma se dovessi raccomandare una cosa sola su Pinochet andrei sul podcast di Ludovico Manzoni, GOLPE – 50 anni di Cile, perché tra un film molto artistico e compiaciuto ma non del tutto riuscito e un podcast fatto bene che mi fa capire qualcosa di un argomento di cui so poco, sceglierò sempre il secondo. E questo di Manzoni è un podcast davvero fatto bene, che racconta la storia del Cile, oltre che del colpo di stato di Pinochet, con una varietà di voci, di personaggi (musicisti, politici, cileni, italiani, giovani, molto vecchi), in poche puntate, da seguire con una certa attenzione ma esaustive, che mettono a posto la coscienza (cioè quel senso di vuoto sulla storia del Sud America).
Ho ripreso a praticare (ripassare, studiare forse, risentiamoci a fine ottobre) lo spagnolo, e col mio solido livello intermedio ascolto Nadie sabe Nada (a proposito di club di maschi… ma non posso ripassare soltanto riguardando Un paso adelante, che pure sto guardando). E’ il podcast più ascoltato in Spagna, un podcast comico che fa da buon contraltare a The rest is politics, che come sapete è il mio podcast inglese imprescindibile, a tema attualità (nonché il più ascoltato in UK, come il discorso dei libri più venduti, anche questo contrasto di tono e argomenti Spagna-UK dice qualcosa di questi due paesi).
Poca introspezione e molta carrellata, ma alla fine l’unico proposito a cui tengo fede a settembre è di rimpinguare il mio file Excel delle cose lette, ascoltate e guardate; se è un modo per non affrontare la vita vera non lo so, ma mi sembra che finché il ritmo di film visti (e libri letti) resta sostenuto, la vita è in ordine, tutto va bene, tutto è più o meno sotto controllo.
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