Sono arrivata in Vietnam con un volo di 5 ore da Denpasar: un volo confortevole a dire il vero, non fosse stato che non mi ero portata acqua, e l’acqua a bordo si poteva comprare solo in contanti, solo in DONG (e in dollari americani). Ho provato a offrire 5€ per una bottiglietta d’acqua (gliene avrei dati anche 10, il mio regno per un cavallo) ma è stata inflessibile (ottima metafora del fatto che i nostri euro non valgono niente, credo che l’euro abbia toccato il minimo storico in questi giorni), me ne ha dato un bicchiere gratis che mi sono centellinata un sorso all’ora. Avevo un mal di gola pazzesco che mi faceva grattare la gola e pensare solo all’acqua, o a un tè caldo, e ai Dong che non avevo (ma chi ha i Dong venendo da Bali?). Fun fact, anche in aeroporto non c’era acqua: non nell’ora di coda al controllo passaporti, non al ritiro bagagli. Solo fuori finalmente ho comprato 2 grandi Evian, e un bubble tea che mi ha fatto venire mal di pancia.
Nonostante questo, Hanoi mi è piaciuta subito. Il giorno dopo era domenica, e la situazione di “crazy scooter traffic” raccontata dalla Lonely Planet non mi è sembrata così grave: in effetti tornare ad avere i MARCIAPIEDI è bastato a farmi sentire sicura e felice, forse l’autore della Lonely Planet non arrivava da Bali 2022.
Ad Hanoi se ne fregano del turismo. Si ha l’idea che sia una porzione trascurabile della loro economia, non so quanto sia vero. Comunque fanno la loro vita senza accomodarla per i turisti e senza particolari “adjustments” - questo lo rende un posto particolarmente “autentico”. Ma anche sul concetto di autentico ci sarebbe da dire. Andiamo in giro per il mondo cercando cose “vere” perché desideriamo sentirci esploratori; desideriamo sentirci i primi, scopritori di terre vergini, che iniziano a esistere solo dopo il nostro arrivo. È impossibile per me viaggiare in Asia senza avere in mente quasi costantemente il colonialismo; non il fatto storico e “concluso”, ma quello che impregna i miei rapporti con le persone che incontro, che mi vendono servizi, che mi fanno stare comoda o scomoda. Ho fatto la tesi su Doris Lessing e la letteratura “postcoloniale”, ma mi sembra che non siamo mai arrivati al “post”, ci siamo ancora dentro, semmai in un’altra onda. Consiglio libresco: “Donne in viaggio”, Lucie Azema, di @edizionitlon. Per capire il collegamento fra questione di genere e colonialismo, tra machismo e nuove e vecchie invasioni.
Consiglio extra: Doris Lessing, The Grass is singing, 1954 (Penguin)