Sono appena andata a vedere un film-documentario che si chiama Sur L’Adamant, è un centro di salute mentale diurno a Parigi, ed è su una barca. Una barca ferma, cioè una chiatta sulla Senna, questa:
Si fanno attività e laboratori per persone che sono in cura in un ospedale psichiatrico collegato, o in generale persone con seri problemi di salute mentale residenti negli arrondissment 1-4. Ci sono psichiatri e infermieri ma più che camici si vedono dialogo, routine stabili e sessioni di gruppo, e i discorsi cominciano a sfumare in una certa normalità nell’anormalità, credo sia un effetto della barca. C’è anche un bar gestito internamente è un posto in cui non è strano che uno abbia la sua tazza preferita:
Ma ci torniamo tra un attimo, lasciatemi fare un discorso.
Ieri ho incontrato un’ amica di lunga data che, come tutti i miei amici di lunga data, vive all’estero, lei da due anni (è l’ultima a essersene andata). Ricevere una lettura della mia vita attuale da una persona che la mia vita la conosce fin dalle prime stagioni del drama mi ha fatto pensare: com’è successo che ci siamo disuniti. Nessuno si prende più cura di me, e io non mi prendo cura di nessun amico, al massimo se vogliamo essere generosi mi prendo cura di un unico uomo a cui faccio da moglie, che era il ruolo di base pensato per me da prima che nascessi in quanto donna, inscritto nella società patriarcale. Ma gli amici, la comunità? Che ne è di me tutte le volte che mi imbarco in ste avventure di sparire in città assurde? Cosa intendo per cura? Che ognuno se n’è andato affanculo e la conseguenza principale di questa dissoluzione della comunità è che nessuno ti tiene d’occhio, cioè i tuoi nuovi amici non ti conoscono abbastanza per avere il polso e la voglia di fare con te un check della tua esistenza e buttare lì l’ipotesi che tu stia facendo delle cazzate. Io, d’altra parte, mi ritrovo spesso isolata in queste relazioni di coppia, sono sempre ambientate in città che non sono la mia, lontano dagli occhi della comunità. So - perché l’ho provato per un periodo - che la vita in un paese piccolo mantiene la comunità stretta: c’è il controllo sociale soffocante della vicina e delle stesse persone che incontri nei vicoli e vedono tutto di te, che cane hai che bar frequenti con chi parli; non credo che permetta il massimo dello sviluppo umano e delle arti liberali o la situazione ideale, ma credo che quel senso di comunità sia la base del vivere civile, una base di decenza umana sulla quale la città dovrebbe semmai costruire – incontrare persone nuove e più stimolanti delle solite comari, vestirsi in modo diverso e mischiare il proprio stile a quello di persone che vengono da molto lontano, parlare con persone che hanno punti di vista diversi.
Ma sto facendo confusione sui vari gradi di socialità. La comunità è fatta da persone che ti conoscono bene. I famosi amici-veri che avevamo ritrovato nel lockdown, quando dicevamo (dicevate) che fare gli aperitivi superficiali era sbagliato e non vi riempiva la vita – per inciso, siete pazzi: parlare superficialmente con persone diverse da noi e che non ci conoscono è proprio il modo principale per non diventare ottusi nazionalisti che pensano di avere l’unico modo di vivere, gli unici usi e costumi, e anche l’unico modo di vestire valido. Che in effetti è proprio quello che è successo globalmente dopo la pandemia: che siamo diventati tutti più ottusi nazionalisti, e questo io lo imputo anche ai dannati lockdown con i congiunti e alla mancanza di vita civica che si esprime nei superficiali aperitivi annacquati.
I famosi amici veri, che ti conoscono bene perché sono gli unici che hanno i dati per fare un’analisi completa – c’erano al liceo mentre imparavate a sopravvivere, c’erano mentre sceglievate i lavori sbagliati, cose così – però dovrebbero pure esserci nella vita attuale, da adulti, e la comunità si costruisce con amici vecchi + amici nuovi + aperitivanti annacquati + sfondo di comari che ti vedono passare per strada. Forse dimentico qualcosa, ma intendo qui comunità tutto quello che sta al di fuori della famiglia. E forse mi sbaglio, ma caratteristica della comunità è che stia nello stesso cazzo di luogo. Non uno a Francoforte l’altro a Stoccolma uno a Edimburgo l’altro a Roma. In altre parole, avete nella vostra vita le persone che potrebbero farvi un intervention, se servisse? Io no. Perché per fare un’intervention ci vuole: aver voglia di accollarsi che la persona si ribella (soprattutto io), avere una certa autorevolezza sulla persona in questione, conquistata sul campo o data dal curriculum della relazione, prima ancora bisogna accorgersi che quella persona sta male, ha un problema, e chi ti conosce da un anno che ne sa che non sei sempre così? In altre parole la comunità serve a fare controllo sociale e il controllo sociale non è sempre male. Per quanto mi riguarda potrei diventare una raging alcoholic e nessuno se ne accorgerebbe perché ancora una volta mi trovo a vivere un po’ qui un po’ e in fondo da nessuna parte. Non so perché mi succede ma è così, la mia rete sociale è molto lasca, e senza nemmeno gli aperitivanti superficiali sono perduta. Ho letto un libro molto carino (Fuori Posto, Margaryta Yakovenko, People publishing) che parla di una migrazione leggermente più estrema della mia, una bambina che nel 1998 a sei anni si trasferisce con i genitori dall’Ucraina in piena crisi da perestroika alla Spagna, e a ventisei anni ottiene la nazionalità spagnola, e parla di questa infanzia in cui traspaiono genitori amorevoli ma che devono lavorare e naturalmente non hanno una comunità, una rete, e quindi di quest’infanzia ricorda soprattutto la solitudine:
“Gli psicologi la denominano solitudine cronica e i suoi sintomi sono esaurimento dovuto alla socializzazione, malesseri successivi alla vita sociale, incomprensione e sensazione di essere distaccata dal luogo, dalle persone che ti circondano e dalla tua stessa vita. La solitudine cronica è così forte che può anche ridurre la speranza di vita.”
La mia amica dice che abbiamo tematizzato il suo trasferimento a Francoforte ma non abbiamo mai tematizzato il mio trasferimento a Roma, come se fosse normale spostarsi e non si dovessero fare tante storie, ma quanto è normale? È stata bella quest’illusione che spostarsi per noi era bello e facile perché non eravamo ucraini in fuga ma expat di alto bordo (o pazzi milanesi che vanno controcorrente al centro sud).
È stato bello pensare di scappare dal nostro meschino paese che non investe in niente per i suoi cittadini con meno di settantacinque anni (e anche per gli over 75, ci sarebbe da dire visti i progressivi tagli alla sanità pubblica). Ma come siamo rimasti? Ho un’altra amica che è emigrata a New York e ha una vita bellissima - nel senso di un lavoro bellissimo e una casa a Brooklyn e dei figli che vanno a Laguardia Highschool of Music & Art, e vuole tornare e mettere i figli nell’orrido liceo italiano perché non vuole vivere da immigrata, neanche di alto bordo. Che Italia le manca? Una comunità, una piazza? Ma lo sa che nelle nostre piazze non ci conosce nessuno?
Torniamo all’Adamant, la chiatta sulla Senna:
It offers patients a daily routine that is structured in terms of time and space and helps them to regain their footing in everyday life with therapeutic workshops and psychosocial rehabilitation support.
Sarà un caso che è su una nave? O sarà che l’unità di spazio, e la comunità che si crea sulla nave, è curativa di per sé? Che salire è entrare in un mondo in cui tutti ti conoscono, e con il loro sguardo, un po’, ti curano nel senso che si prendono cura di te. È un documentario prezioso sulla malattia mentale, vi consiglio di guardarlo. Culla. Un po’ mi sono appisolata, ma non fa niente: ti svegli e sei ancora sulla nave. E questo ti fa sentire al sicuro.
Ps. Mi mancano 150 iscritti per arrivare faticosamente a 1.000, e la mia motivazione comincia a vacillare: se vi piace questa pazza email condividetela.
Sono una romana trapiantata a Cambridge da 6 anni ma in verità manco da Roma dal 2008.. le mie amicizie storiche mi coccolano ogni volta che torno, non condividiamo la quotidianità per ovvi motivi, ma comunque ci ritroviamo, in un attimo, grazie a quell’esserci conosciute quando potevamo essere tutto (cit). Forse il trucco è sapere che le proprie radici affondano su un terreno ampio e non necessariamente, geograficamente, contiguo.. ma comunque il nutrimento può arrivare da ciascuna di esse.. keep going ❤️e.. vai verso Roma sud 😉