Ciao Raffaella. Molto interessante quello che scrivi, come sempre del resto. Anche io sto cercando di staccarmi da Instagram, avendo per altro dei trascorsi molto meno impegnati dei tuoi con lo strumento in questione. Anche io ho avuto, come tutti, il momento di infatuazione, l'urgenza di postare foto, di raccontare brevi storie, pensieri, poesie. Pensando che a qualcuno potesse interessare qualcosa di leggerle. Poi mi sono stancato, e ho scoperto l'enorme perdita di tempo nello scrollare post per lo più insignificanti. Non solo. Ho la sensazione che questo strumento, ed altri analoghi, mi stiano letteralmente rincoglionendo, più di quanto ciò già avvenga naturalmente. Disinstallare la app è il prossimo passo. Provare il senso di astinenza quello successivo. Tornare a vivere con maggior intensità nelle vite reali delle persone l'ambizione. Ci sono alcune foto cui rimarrò legato. Ma solo perchè io so quello che esse celano, le emozioni che mi hanno portato a scattare, e a legare a esse dei pensieri. Per esempio, quella che ho scattato durante una vacanza in Albania, con in primo piano la copertina de La Distanza Da Helsinki. In fondo devo ringraziare proprio IG se ho fatto la tua conoscenza. Ci vediamo in giro, ciao. Fabrizio
Condivido profondamente questo disincanto digitale e un bisogno urgente di andare in sottrazione, assecondare la sensazione che il ciclo continuo di stimoli e gratificazioni che non gratificano più si sia avviluppato. Forse trovarsi ai margini di tutto questo, non tanto per rinuncia o "detox" ma per motivi fisiologici, non è poi così male per cercare una nuova postura: un punto di vista obliquo, capace di cogliere quello che “nel flusso” si perde, qualcosa che valga ancora l'esposizione. Quando era esploso il blog, la voce era a suo modo “marginale” rispetto a qualsiasi medium, ma arrivava prima dell’algoritmo e, per conseguenza, prima del craving da dopamina. Poi abbiamo fatto la fine dei reality. Ci siamo incartati.
Cara Raffaella, condivido e capisco, e mi incuriosisce pensare al futuro perché la direzione in cui stiamo andando è esattamente quella che tu descrivi, si sente la stanchezza.
Lasciami dire però che dalla versione della newsletter Velluto che leggevi ai tuoi interventi all’ora D’aria la tua voce manca, davvero. un abbraccio e un arrivederci
Ciao Raffaella. Molto interessante quello che scrivi, come sempre del resto. Anche io sto cercando di staccarmi da Instagram, avendo per altro dei trascorsi molto meno impegnati dei tuoi con lo strumento in questione. Anche io ho avuto, come tutti, il momento di infatuazione, l'urgenza di postare foto, di raccontare brevi storie, pensieri, poesie. Pensando che a qualcuno potesse interessare qualcosa di leggerle. Poi mi sono stancato, e ho scoperto l'enorme perdita di tempo nello scrollare post per lo più insignificanti. Non solo. Ho la sensazione che questo strumento, ed altri analoghi, mi stiano letteralmente rincoglionendo, più di quanto ciò già avvenga naturalmente. Disinstallare la app è il prossimo passo. Provare il senso di astinenza quello successivo. Tornare a vivere con maggior intensità nelle vite reali delle persone l'ambizione. Ci sono alcune foto cui rimarrò legato. Ma solo perchè io so quello che esse celano, le emozioni che mi hanno portato a scattare, e a legare a esse dei pensieri. Per esempio, quella che ho scattato durante una vacanza in Albania, con in primo piano la copertina de La Distanza Da Helsinki. In fondo devo ringraziare proprio IG se ho fatto la tua conoscenza. Ci vediamo in giro, ciao. Fabrizio
Condivido profondamente questo disincanto digitale e un bisogno urgente di andare in sottrazione, assecondare la sensazione che il ciclo continuo di stimoli e gratificazioni che non gratificano più si sia avviluppato. Forse trovarsi ai margini di tutto questo, non tanto per rinuncia o "detox" ma per motivi fisiologici, non è poi così male per cercare una nuova postura: un punto di vista obliquo, capace di cogliere quello che “nel flusso” si perde, qualcosa che valga ancora l'esposizione. Quando era esploso il blog, la voce era a suo modo “marginale” rispetto a qualsiasi medium, ma arrivava prima dell’algoritmo e, per conseguenza, prima del craving da dopamina. Poi abbiamo fatto la fine dei reality. Ci siamo incartati.
Cara Raffaella, condivido e capisco, e mi incuriosisce pensare al futuro perché la direzione in cui stiamo andando è esattamente quella che tu descrivi, si sente la stanchezza.
Lasciami dire però che dalla versione della newsletter Velluto che leggevi ai tuoi interventi all’ora D’aria la tua voce manca, davvero. un abbraccio e un arrivederci