Velluto, di Raffaella Silvestri
Velluto, di Raffaella Silvestri
#2 Sul caos
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#2 Sul caos

Caos vs ordine: o del non riuscire più a concentrarsi, sintetizzare, mantenere la direzione. 3 libri e un film che ho visto questo mese.
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Non so se sono stati i due anni di pandemia o se è solo l’età, ma ultimamente mi sembra di stare perdendo capacità cognitive: per esempio non so più bene sintetizzare, dare una direzione, incanalare i pensieri in un unico argomento, ovvero esercitare tutte quelle capacità che erano allenate ogni giorno dalla scuola, e che quindi non alleno più (non così) da tanto. Ogni settembre quando tornavo a scuola o all’università sapevo che la capacità di concentrarmi, per esempio, sarebbe tornata con l’allenamento; in seguito, è stata di volta in volta qualche grandiosa motivazione a farmi finire progetti o raggiungere obiettivi, ma in seguito l’ampiezza dei progetti si è ridotta, la loro durata e la loro lunghezza, riducendosi man mano a questa o quell’altra fattura: quasi tutti i miei progetti si aprono e si chiudono entro il mese. Per come io stessa ho impostato il mio lavoro, questo è fatto da un trilione di particelle sparse nell’universo del mio tempo, un universo che mi sembra, ingannevolmente, in espansione e infinito. Ogni tanto acchiappo e finisco qualcuna di queste particelle, entità che non sono in comunicazione fra loro e che si dissolvono appena la fattura è stata emessa. Pouf.

Quindi a essere precisi non si tratta (solo) di capacità cognitive, ma si tratta di direzione: se la scuola mi ha insegnato che l’apprendimento, la vita e la realizzazione (combinare qualcosa nella vita) sono faccende lineari, in cui gioca un ruolo fondamentale l’accumulo, più mi sono allontanata dalla scuola più ho perso questo senso di linearità, sono stata abbandonata forse al mio naturale, pre-scolare caos, quell’universo appunto di materia gassosa in cui galleggiano i singoli progetti lavorativi.

Questo ha a che fare anche con il genere: da bambine, ci hanno perdonato la non-linearità, la non conclusività delle nostre imprese, ma ce l’hanno perdonata allo stesso modo in cui la mia maestra di ginnastica artistica mi perdonava di non saper fare cose semplici come la ruota o il ponte, e cioè con una finta benevolenza, la benevolenza di chi non perde tempo ed energia a insegnare perché crede che non ci servirà imparare. Secondo Simone de Beauvoir, il sesso (nel senso di genere) è un comportamento totalmente appreso, e in pratica il fatto che l’educazione delle femmine sia lasciata in larga misura alle femmine, che nessuno da noi esiga quel rigore ma anche quella violenza che si esige dai bambini (si esigono altre cose da noi, nessuna delle quali ci aiuta nella vita futura), che si perdoni troppo facilmente una certa mollezza e atteggiamento distratto e prono alle fantasticherie, tutto questo ci ostacola. Infatti penso che la maggior parte della vita delle donne sia spesa a liberarsi di cose e insegnamenti nocivi che ci hanno inculcato e che ci ostacolano il cammino. Quando ce ne siamo finalmente liberate, gli altri sono ovviamente molto più avanti di noi. Su quel percorso lineare.

Secondo la filosofia orientale del Tantra (parola che secondo wiki descrive tradizioni esoteriche riconducibili a Induismo e Buddismo sviluppatesi in India a metà del primo millennio dC, un po’ generico, ma in effetti è una disciplina scivolosa), il maschile e femminile sono caratteristiche innate, come fossero pure eau de toilette, anche se ogni individuo li contiene entrambi: il maschile (Shiva) è direzione, intento, progettualità; il femminile (Shakti) è creatività, forza creatrice-distruttrice, disordine. Le ombre del maschile sono il tentativo empio di dare la vita, col risultato di creare cose sterili (tipo Frankestein, o il capitalismo), le ombre del femminile sono fondamentalmente riconducibili al divorare. È un po’ più complesso di così, comunque è problematico: da un lato è impossibile non vedere l’occhiolino fatto a tutte quelle credenze originate dalla paura che l’uomo ha della donna, il famoso mostruoso femminile, per citare un libro che è stato ultimamente famoso su Instagram, che agita e divora. D’altro canto, il Tantra celebra il potere femminile ancestrale, e auspica il recupero di quel potere che è desiderio sessuale, riappropriazione della maternità, della morbidezza che non è leziosa morbidezza caratteriale, ma attributo materico, la liquidità dei visceri, del sangue, del sesso, del serpente marino che in molte culture antiche rappresenta la Grande Madre – nella mitologia babilonese Tiamat, che per resistere alla ribellione dei figli partorisce draghi, demoni e scorpioni, ma viene infine sconfitta dall’eroe-uomo, che impone ordine al caos (lacera il ventre di Tiamat, la parte superiore diventerà il cielo, quella inferiore la terra).

“Il patriarcato è un sistema di valori che premia l’ordine, il controllo e l’imposizione di regole nette sulle realtà più caotiche”, scrive l’autrice di Il mostruoso femminile, e torno così al mio personale caos: lo devo inquadrare come sconfitta o riappropriazione?

Per rispondere a questa domanda mi vengono in mente un’esperienza diretta e un riferimento cinematrografico, Titane, il film body-horror di Julia Ducournau (inaspettata) Palme d’Or a Cannes quest’anno.

Il fatto che mi è capitato è che sono andata a fare le selezioni per una squadra agonistica di nuoto, la squadra Master della famosa, nuova piscina della Bocconi. Per capire di cosa stiamo parlando, è una categoria riservata agli over24 e popolata da 30-40enni, quindi gente per cui lo sport serio è fuori discussione. Eppure, naturalmente, è piena di ex agonisti e invasati di ogni età, come ho potuto constatare quando mi sono presentata alla prova pratica. Lì l’allenatore sardo ha proceduto a bullizzarmi nel più classico degli stili (pun not intended): facendomi sentire una poverina su cui non era il caso di infierire, cosa che ti fa sentire ancora più fuori posto, e quindi infierisce ancora di più. Quasi non mi accorgevo che in realtà attorno a me c’erano solo uomini, che molti sembravano più affaticati di me a fine vasca, parecchi erano appesantiti e in sovrappeso, e non molto veloci (ma tu sei solo fuori forma, poi vai anche forte). Insomma, era una squadra al 98% maschile che avrei sicuramente rallentato, e lui che evidentemente voleva vincere non voleva rallentamenti. Per farla breve, in questo caso non aver io aderito alla durezza, non aver sviluppato un maschile forte mi ha penalizzato: mi sono lasciata mettere da parte, intimidire e spaventare da un bulletto 40enne. Se mi avessero cresciuto come un uomo, invece che passare la vita fra le sottane reali o metaforiche (scuole a maggioranza femminile, amiche femmine, università molle, e al primo contatto col capitalismo mi sono ritirata), sarei stata addestrata alla competizione, e sarei stata lì, salda nella corsia a occupare il mio legittimo posto nella squadra.

In Titane, una ragazzina ha un incidente automobilistico a causa del padre disattento (ma lei è già fastidiosa, “mostruosa”: produce dei suoni incessanti che imitano un motore, il padre cerca di metterla a tacere aumentando il volume dell’autoradio, e lei comincia a scalciare sedile del guidatore – probabilmente autismo, ma siamo nel territorio dell’horror quindi ogni spiegazione intralcia più che aiutare la fruizione). A seguito dell’incidente le viene impiantata una placca di titanio nel cranio. Fast forward una ventina d’anni, Alexia balla sulle macchine in un salone di auto da esposizione, fa sesso con le macchine, uccide con un fermaglio per capelli molestatori ma anche amiche amanti e passanti. Deve scappare. Prende l’identità di un ragazzino scomparso dieci anni prima, e diventa così Adrien, il figlio di un comandante dei pompieri iper macho che si fa punture di steroidi per tenere insieme un corpo che cade a pezzi per l’età, per il dolore della perdita del figlio, per le aspettative irrealistiche del mondo machista in cui vive e che disperatamente ama. Ma Alexia è anche incinta, e il suo corpo, che viene costretto dapprima nelle forme di un uomo (con bende, tagli di capelli e una cruenta frattura del naso, per modificare e indurire i lineamenti e assomigliare di più al padre), letteralmente esplode nel caos della natura. Il caos incontenibile e la potenza della maternità che si agitano dentro di lei procurano delle crepe di luce nel corpo di Adrien/Alexia: mentre le perdite di liquidi (seno, sesso, viscere, boh) sono nere e vischiose, fiumi inarrestabili con cui lei si fonde (risulta perennemente macchiata, in modo ormai organico), la vita e il potere che lei tranquillamente abbraccia/veicola/gestisce sono luce, così come luce è il rapporto silenzioso che instaura con il padre, che la ama al di là del suo genere e della sua umanità “chiunque (qualunque cosa) tu sia tu sei mio figlio”.

Il film mette in scena il maschile e il femminile non tanto per superarli, ma per farli danzare in una danza molto stretta, così stretta da romperli: non rompere le forze eterne che ci abitano, ma i poveri stereotipi in cui noi le ingabbiamo per addomesticarle alla società miope e sconcia che abbiamo creato.

L’ordine al caos non è la scienza, la medicina, l’economia, ma il farsi attraversare dalla potenza del corpo, anche non curandosene (un’antitesi alla sacralità consumistica del self care, la scena del tentato aborto con lo spillone-fermacapelli).

Avrete capito che non è un film per tutti e non è neanche un film bello. Ma ridimensiona, con una certa lettura, la centralità dell’ordine, della linearità del pensiero, della sintesi e della direzione.

Postilla con riferimenti di letture film e altre risorse:

Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Jude Allison Sady Doyle, Tlon (2021)

Un libro insta-famoso che non volevo leggere, ma che invece fa un utile grande “recap” di molte teorie femministe rileggendo film, serie tv, libri e prodotti culturali pop di ogni genere. Molto scorrevole, non pretende (credo) di essere originale, ma un divertente ripasso. E alcune cose che non sapevo o a cui non avevo pensato, sull’horror, e sulla passione molto femminile per il true crime e le storie cruente (che sono quasi sempre storie di uomini che uccidono donne).

Il secondo sesso, Simone de Beauvoir, citato nel numero precedente (e sono mille pagine, certo che non l’ho ancora finito).

Squid Game, Netflix, che caso vuole ho visto questo mese, ma che col caos e con l’ordine ha molto a che fare, e anche col mostruoso, naturalmente: da vedere, anche se non avete lo stomaco forte (io ho fatto qualche skip sulle scene più cruente all’inizio, poi mi ha molto avvinta e ho detto menomale che ogni tanto Netflix produce qualcosa di notevole).

Titane, Julia Ducournau (2021): body-horror, gender fluid, che è un film larger than life, ma secondo Mymovies le cose principali da dire sono: “con scene di sesso lesbico e altre sul crinale dell'incesto”. Di questo NON raccomando a tutti la visione, solo per die-hard cinofili.

Sul Tantra parlo a memoria, in base a cose che ho appreso e praticato in corsi e seminari, una disciplina diversa ma tangente e più accessibile qui è il kundalini yoga, ma ho trovato una buona spiegazione di quello che io dico probabilmente in modo non troppo accurato qui:

https://houseoftantra.org/dark-masculine/

Ho visto un libro in vetrina nella libreria dell’Anteo, ma credo che in questo caso, come per la meditazione, sia più divertente praticare che leggere.

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